La pena di morte nel 2018…

2018. Si parla ancora di pena di morte. Se ne parla in questi termini…

Alabama, Mississippi e Oklahoma hanno approvato l’uso dell’azoto per le esecuzioni dei prigionieri condannati a morte, con l’obiettivo di rimpiazzare le iniezioni letali, sempre più difficili da praticare a causa della scarsa reperibilità dei composti. La scelta ha portato a molti dubbi e critiche tra medici e associazioni per i diritti umani negli Stati Uniti, perché l’utilizzo dell’azoto per uccidere i condannati non è stato mai praticato prima e di conseguenza non è chiara la sua efficacia.
Negli Stati Uniti ci sono circa 2.750 persone condannate a morte in 31 stati. La maggior parte di loro trascorrono le giornate in cella senza sapere se e quando sarà eseguita la condanna.

Il New York Times cita un recente caso avvenuto a febbraio in Alabama, su un condannato a morte con i vasi sanguigni danneggiati a causa dell’abuso di sostanze stupefacenti e di una chemioterapia cui era stato sottoposto per trattare un tumore. Il gruppo di esperti incaricato di somministrargli l’iniezione letale ha provato per circa due ore a trovare un vaso in buone condizioni per inserire il preparato che lo avrebbe ucciso. Dopo decine di tentativi e visibili sofferenze del condannato a morte, hanno dovuto rinunciare. L’avvocato del prigioniero ha accusato il gruppo di avere lacerato un’arteria del suo assistito e di avergli anche perforato la vescica. In seguito lo stato dell’Alabama ha deciso di non eseguire più la condanna a morte.

L’azoto non è di per sé velenoso per gli esseri umani e costituisce circa il 78 per cento dell’atmosfera terrestre. I problemi sorgono quando lo si respira in un ambiente quasi del tutto saturo, quindi con carenza di ossigeno. Dai casi di incidenti gravi sul lavoro, sappiamo che l’azoto comporta uno stato di anossia (cioè di mancanza di ossigeno nell’organismo) del quale non si è spesso consapevoli, perché non si avvertono da subito difficoltà a respirare. Senza ossigeno, si perdono improvvisamente i sensi e in assenza di una rapida compensazione si muore. Il processo può essere più o meno rapido e può richiedere pochi respiri per portare allo stato di incoscienza, ma non c’è la certezza medica che la morte sopraggiunga in modo indolore.

Il ricorso all’azoto comporterebbe nei fatti un parziale ritorno al sistema delle camere a gas, utilizzato per l’ultima volta negli Stati Uniti nel 1999. È ritenuto la soluzione più complicata e costosa tra quelle disponibili per eseguire una condanna a morte. Il condannato viene legato a una sedia all’interno di una camera a tenuta stagna, che è poi isolata dal resto dell’ambiente esterno. Viene poi attivato un meccanismo che fa cadere del cianuro di potassio in una vaschetta di acido solforico, collocata al di sotto della sedia. La reazione porta alla formazione di acido cianidrico, un gas molto tossico che dopo alcune inalazioni causa incoscienza e poi morte per soffocamento. Il processo richiede diversi minuti e non tutti i condannati reagiscono allo stesso modo: sono frequenti convulsioni, vomito, schiuma dalla bocca, incapacità di trattenere le feci e le urine. Dopo la morte della persona condannata, la stanza viene ventilata in modo da eliminare il gas e poi aperta per rimuovere il corpo del deceduto. Questa operazione deve essere eseguita con grandi precauzioni, perché nella camera potrebbero essere rimasti pericolosi residui di acido cianidrico.

Non è ancora chiaro come potrebbe essere utilizzato nella pratica l’azoto per indurre la morte delle persone condannate. Se fosse utilizzata una camera a gas ci potrebbero essere gli stessi problemi del vecchio metodo, considerato che rimuovere richiede precauzioni. Un’alternativa potrebbe essere l’utilizzo di una maschera da applicare sul volto, come viene fatto in alcuni casi per i pazienti che ricorrono all’eutanasia.

Questo si studia e avviene nel 2018 nel nostro mondo ritenuto civile. Certo, si parla di persone ritenute condannabili per reati che indubbiamente sono gravi e portano, con non poca sofferenza, a queste decisioni… ma è altrettanto difficile accettare e comprendere le tantissime dinamiche mentali, economiche, comportamentali, etiche e non solo che orbitano dietro un evento delittuoso, vari gradi di giudizio, una condanna e la successiva esecuzione e capitolazione.

Sono tante le persone che muoiono nel mondo e di cui nulla si sa e si conosce… Morti in guerre, in attentati, in eventi casuali, in incidenti e chissà in auqli altre tante e imprevedibili disgrazie…

Credo che la dipartita di un essere umano, al di là di ogni ragionevole e comprensibile o giustificabile, se di giustificazione si può parlare, motivo, sia un dolore, un evento a cui ci si deve sempre e comunque abbinare la rispettosa parola perdita… non solo per la reale perdita della vita, ma anche per una reale perdita.

Un conto è porre fine al dolore e all’accanimento che protrae a tempo indeterminato sofferenza e tormento, specie se si hanno certezze assolute del superamento del punto del non ritorno…, un conto è invece stabilire a tavolino o imporre una interruzione non volontaria e cosciente ma appunto imposta per voleri altrui, seppur con , come detto prima, apparenti e pesanti “giustificazioni”…

Di sicuro occorre riflettere a questo fatto. Nel 2018 si applica ancora la pena di morte….

E voi come la pensate? Sono davvero curioso di avere la vostra opinione in merito.

3 commenti

  1. Rebloggo il tuo post sul mio blog durante la giornata e dirò la mia in musica, ottimo linguaggio per veicolare emozioni.
    Grazie di cuore.
    Vicky

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