*** ATTENZIONE *** QUESTO POST PUO’ URTARE LA SENSIBILITA’ DI CERTE PERSONE… CONSIGLIO LORO DI STARNE ALLA LARGA MENTRE A TUTTE LE ALTRE DI LEGGERE BENE SINO IN FONDO E DI TROVARE IL CORAGGIO DI CONDIVIDERE QUESTE TESTIMONIANZE E STORIE. GRAZIE.

Ci si ferma spesso, troppo spesso alle apparenze e si giudica troppo facilmente senza sapere cosa c’è sotto…

Ecco un ottimo motivo per soffermarsi ad andare oltre… Così ho deciso di proporvi scatti e foto del progetto “I’m fine”, 2012-16 © Daniele Deriu – “Scars of life”, series.

«All’inizio ero convinta che il simbolo della mia femminilità mi fosse strappato via dal petto… ora esibisco quella cicatrice con orgoglio, come simbolo della nascita di una donna migliore, più forte.»

(E. L., malattia di Paget)

«La gente mi chiede in continuazione “come stai?” Ho 32 anni ed ho già subito due laparotomie e c’è una laparoscopia in preparazione per la fine dell’anno. Ho perso la possibilità di diventare mamma e i farmaci che prendo mi fanno venire le vampate. Convivo con il dolore, ma ho tanti giorni buoni e sono anche follemente innamorata del mio compagno. Lui trova le mie cicatrici sexy. Forse lo dice soltanto per farmi stare meglio con me stessa e la cosa strana è che funziona. Sapete una cosa? Io sto bene.»

(Giorgia, Endometriosi IV stadio)

E’ che spesso non ci pensiamo e così non andiamo oltre alle cose semplici e ci perdiamo dietro la cura di cose apparentemente insignificanti, che perdono totalmente di significato quando si cambia la prospettiva da cui si vedono le cose e così cambia anche l’importanza o lo stesso significato e valore delle cose…

«L’unica “cicatrice” che mi interessa davvero mostrare è la mia testa pelata. All’epoca della diagnosi avevo dei bellissimi e lunghi capelli castani. Ero una maniaca della cura dei capelli. Usavo uno shampoo delicato e nutriente, ma prima massaggiavo per più di un’ora il cuoio capelluto con la punta delle dita, applicando sui capelli leggermente umidi una maschera bio al burro di Karité o all’olio di palma. Niente era più importante dei miei capelli. Poi mi hanno presentato le sedute di chemio e il mondo ha cambiato prospettiva. Io sono cambiata. Ho guardato in faccia l’Abisso e gli ho ringhiato contro che la mia chioma sarebbe stata l’unica cosa che poteva prendersi. Così è stato. Regressione completa. I capelli hanno ripreso a crescere, ma io continuo a rasarli. Si fotta il burro di Karité. Sono bellissima così.»

(Michelle, linfoma di Hodgkin)

E poi ti imbatti fra le tante pagine, in quella che raccoglie e racconta storie di vita e lo fa con la complessità e semplicità della testimonianza delle foto e della presenza fisica delle persone che sono in prima persona opera d’arte di loro stesse, della loro vita, del loro trascorso, del loro vissuto che merita essere conosciuto, condiviso e rispettato…

«Sì, è quello che sembra. Ho provato a togliermi la vita due anni fa. Ho fatto le cose per bene. Nessuno stupido taglio orizzontale sui polsi, ma una unica ferita lungo l’avambraccio. Mi salvò mio fratellino, che rientrò prima da calcio. Poi ci furono le sedute con lo psichiatra, il consultorio e il gruppo. Forse la parte più difficile fu il rientro a scuola. Ho dovuto risolvere molti problemi, soprattutto con me stessa. Fare pace con la mia vita, perdonarmi… ma sono ancora qui. Ultimamente ho preso a fare una cosa sciocca. Distendo le braccia al Sole e immagino di assimilare la vita proprio da quelle cicatrici… e sorrido tutte le volte.»

(Federica, 19 anni, tentativo di suicidio)

Ecco dunque alcune di queste testimonianze, di queste storie, dovrebbero tuonarci e rimbombarci in mente ogni volta che troviamo il tempo e il coraggio di lamentarci della nostra vita e delle difficolta a cui nel quotidiano ci sottoponiamo con non poca difficoltà…

«E’ così che ci vedete? Nella vostra percezione matematica siamo donne a cui manca qualcosa. Un seno, una gamba, un ormone, il buon senso o la pelle vellutata. Ma noi siamo anche la somma del nostro coraggio e determinazione. Quando ci sottraggono qualcosa, raddoppiamo la voglia di vivere e di combattere… triplichiamo il bisogno di amare e la volontà di essere donne. Quando fate questo gioco algebrico con i vostri sguardi che soppesano… ricordate che noi saremo sempre la somma delle qualità di una persona, mai la sua differenza.» 

(Inés, mastectomia)

Perchè alla fine basta realmente poco per trasformare il quotidiano e la routine, che prima sembrava essere assolutamente insopportabile e pesante, in una sequenza di cose assolutamente leggere… Credetemi! Basta passare alcune ore, alcuni giorni in ospedale, specie quando meno ce lo si aspetta e il trovarsi a dover affrontare cose nuove, sconosciute e di cui poco o nulla si sa…

«Dopo l’incidente la mia vita è diventata deliziosamente instabile. La questione pratica non è uno scherzo. Pensate alla protesi. Togli, metti, togli, metti… e un giorno è larga, l’altro è stretta e l’invaso non va bene e mi irrita la pelle… e poi invece di camminare, ondeggio. Come un bambino appena nato, ho dovuto definire i miei nuovi confini, saggiare con il dolore i miei limiti. Di notte mi capitava di sentire prurito alla gamba che non c’è più. E poi c’è la gente. Ti guarda e pensa “Poverina, era così bella… guarda cosa le è capitato”. Ecco. Mi è capitato di sopravvivere. Mi è capitato di risollevarmi, di innamorarmi di me, di correre come il vento con la gamba hi-tech, di guidare una moto, di scoprirmi determinata… e ogni tanto, quando mi sollevo su una gamba, in equilibrio instabile, mi capita di sentirmi bella.» 

(Mélie, Amputazione)

Scoprire queste storie che vanno oltre l’apparenza e mettono a nudo non tanto il loro corpo ma la loro anima e quanto hanno dovuto affrontare e vivere sulla propria pelle, serve proprio a ricordarci che a volte basta davvero poco per sentirsi fortunati/fortunate e non siamo in grado di apprezzarlo o di comprenderlo per tempo sino a quando non ci imbattiamo direttamente di persona con questi eventi e cose….

«Penso di essere sempre stata un po’ egoista, di aver messo me stessa e i miei problemi davanti a tutto il resto. Durante il lungo periodo della lista, quando aspettavo ogni giorno la chiamata che mi avrebbe portato in sala operatoria, il mio carattere è peggiorato. Ero scontrosa, brusca, odiosa e irrispettosa. La cardiomiopatia che mi aveva accompagnato fin dalla nascita era finalmente giunta in fase terminale e forse non lo accettavo. Poi uno sconosciuto della mia stessa età mi ha donato il suo tempo ed è stato come rinascere. Ora, quando sono irrequieta, ascolto quel battere regolare, forte, entro in sintonia con la parte della sua anima che vive in me… nello spazio di tempo tra un battito e l’altro, e insieme troviamo pace. D’ora in poi, sarò una persona di buon cuore.»

(Valérie, trapianto di cuore)

Allora ecco che ci vuole la sensibilità e il coraggio di chi raccoglie queste esperienze e ancor più di chi le racconta per tramutare un indubbio dolore e una cicatrice, tanto fisica quanto mentale, in qualche cosa di utile e di aiuto nei confronti di chi, come loro, si è trovata/o in difficoltà o in momenti di apparente debolezza abbattuti dal coraggio di vivere oltre a ciò che appare di loro, di ciò che non si vede in quanto , spesso, sapientemente o con pudore nascosto e protetto…

Nota a margine. La serie “Scars of life”, accantonata e ripresa più volte, è partita agli inizi del 2012 e già dai primi giorni di ricerca mi resi conto di un fatto: per qualche ragione, le cicatrici auto-inferte non catalizzavano molta “simpatia” (intesa etimologicamente come “co-sofferenza”).

Se la cicatrice ti arriva per un tumore o un incidente, allora le persone si “protendono” verso di te, ti “riconoscono” e ti accolgono con calore… ma se sei stata una autolesionista o hai tentato di toglierti la vita, in qualche modo, non benefici dello stesso calore.

Ma nella idea originaria della serie, l’intento è quello di raccontare storie di combattenti, di sopravvissute… e le cicatrici rappresentano le “ustioni” che si sono procurate attraversando il loro inferno personale. Ecco, per me non esiste un inferno “buono” o un inferno “cattivo”. Ci tenevo a dirlo.

Daniele Deriu – Photo Philosophy)

Grazie dunque a Daniele e a tutte quelle persone che come lui e per mezzo delle sue immagini e storie, raccolte dietro e davanti all’obiettivo, ci permettono di riflettere sul valore unico, incredibile e indiscutibile della vita e ci fa riflettere su tutte quelle cose, sentimenti e dolori di cui spesso non si parla per mille e svariati motivi e che invece segnano sia nella mente che nel corpo…

Ecco perchè andare oltre le apparenze, vivere oltre e andare più in là di quello che propongono i nostri occhi… Possiamo scoprire l’esistenza di storie che meritano di essere capite, condivise, rispettate e  divulgate, come esempi, come testimonianze decisamente più importanti di tante altre stupidaggini che vagano per il web….

E adesso prova a guardare le persone che incontri per strada, nel tuo quotidiano e non solo, con un occhio diverso… potresti scoprire, in fondo, che lontano da com ti possono apparire ai tuoi occhi, hanno dei valori e delle cose da raccontare di cui nemmeno immagini la portata o l’importanza….

Allora anche tu… prova ad andare oltre alle apparenze….e vivi oltre….

 

Di fm-web

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