Caro Marco,
Oggi è successo qualcosa che mi ha distratto da tutte le riflessioni pesanti su Giuseppe e il dopoguerra. Finalmente, l’aria ad Aosta sa davvero di autunno. Non è solo freddo, è un profumo speziato, affumicato, che ti entra fin dentro la sciarpa.
Mentre tornavo a casa, ho attraversato Via Croce di Città e mi sono fermata davanti al carretto delle caldarroste. È lì, ogni anno, da quando ho memoria. L’uomo che le vende, ha la barba bianca e le mani nerissime di carbone, e si chiama Monsieur Félix. Non so se sia il suo vero nome, ma tutti lo chiamano così. Parla poco, in un misto di patois valdostano e francese, e ha gli occhi di un azzurro così chiaro che sembrano pezzi di ghiaccio.
Ho comprato un sacchetto. Il calore del cartoccio mi ha scaldato le mani gelate e ho sentito subito quell’odore di fumo dolce, di terra cotta. Ed è successo che, mentre aspettavo il resto, Monsieur Félix ha fatto qualcosa di strano.
Ha preso una castagna, una sola, l’ha guardata come se fosse un tesoro, e poi l’ha passata ad una signora anziana che non aveva comprato nulla, che stava solo lì, appoggiata a un muro a guardare le vetrine. Non ha detto una parola, ma il suo gesto era pieno. Era come se le avesse regalato un piccolo pezzo di sole. La signora ha sorriso, un sorriso senza denti ma con una luce immensa, ha annuito e se n’è andata.
E lì, Marco, è nata l’idea folle. Un’idea che mescola la storia di Giuseppe, il falegname che costruiva speranza, e il silenzio generoso di Monsieur Félix.
Ho ripensato alla nonna. Lei mi ha sempre raccontato che, negli anni della miseria, l’unico regalo che valeva davvero non era quello che costava, ma quello che veniva da un sacrificio vero. Mi ha raccontato del suo primo Natale dopo la guerra. Sua madre (la mia bisnonna) aveva trovato un piccolissimo pezzo di stoffa rossa, grande quanto un fazzoletto, e con una lentezza infinita, lo aveva ricamato con filo bianco recuperato da un sacco di farina. Non era nulla, ma per la nonna Emma, quel fazzoletto era la cosa più bella del mondo, perché era fatto di tempo, di pazienza, di dedizione totale.
La mia vita, Marco, è piena di cose facili e veloci. La tecnologia ci rende tutto immediatamente disponibile. Ma quello che manca, credo, è proprio la lentezza dell’attesa e la fatica della creazione con le mani. E se fosse questo il vero modo di prepararsi al Natale? Non un conto alla rovescia sul telefono, ma un “Conto alla Rovescia degli Atti Belli”?
Ecco il piano, Marco, che voglio tenere segreto nel nostro diario, fino al giorno di Natale:
- Ogni giorno, da oggi, devo trovare un modo per fare qualcosa per qualcun altro, qualcosa che sia fatto con il mio tempo, la mia abilità, o che sia un gesto di calore silenzioso, come la castagna di Monsieur Félix. Non deve costare, deve valere.
- Devo registrare queste azioni nel diario, come piccole fiabe di Natale che si realizzano prima della festa, per generare la luce di cui parlava la nonna.
- Devo chiedere alla nonna Emma ogni giorno una storia sul senso dell’attesa, su come loro riempivano quel vuoto nel dopoguerra, quando non potevano comprare nulla, ma potevano sognare tutto.
Oggi, per inaugurare il mio piano, ho fatto una cosa minuscola. La nonna aveva un gomitolo di lana che si era aggrovigliato completamente, un groppo impossibile, un vero e proprio nido di fili. Invece di dirle di buttarlo – come avrei fatto con un vecchio cavo USB rotto – mi sono seduta per un’ora intera, in silenzio, sotto la luce fioca della lampada, e l’ho sbrogliato, filo dopo filo. Le mie mani erano lente, impacciate, ma alla fine, il gomitolo era liscio, pronto per la sua sciarpa.
Quando gliel’ho ridato, il suo sorriso valeva dieci like e cento stories. Mi ha detto: “Questo si chiama Restituire la Forma. È un atto d’amore.” E in quell’istante, Marco, ho capito che l’attesa del Natale non è aspettare che arrivi qualcosa, ma preparare noi stessi a ricevere e donare qualcosa di vero.
La nonna, poi, mi ha raccontato di Monsieur Félix – non quello delle castagne, ma un altro, il bidello della sua scuola, nel 1948. Questo Félix era un uomo gigantesco, burbero, e tutti i bambini lo temevano. Ma lei e le sue amiche avevano scoperto un segreto: ogni volta che nevicava, lui si svegliava all’alba e, prima di spazzare la neve dalla porta della scuola, disegnava con il manico della scopa un’enorme stella a otto punte nel cortile. Quando i bambini arrivavano, camminavano attentamente sul perimetro, per non rovinare il disegno effimero. Quel Monsieur Félix non parlava, ma ogni stella era un messaggio: Siamo al sicuro, c’è ancora la bellezza.
Questa sera, guardando le mie dita ancora un po’ intorpidite dal gomitolo, mi chiedo: Qual è la mia stella a otto punte che devo disegnare, la mia caldarrosta da donare?
Domani a scuola c’è il compito in classe di matematica, ma anche quello sarà un piccolo passo nel tempo che scorre verso la luce.
A domani, e tieni il segreto dell’Attesa Attiva con me.
Cristina.
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