Caro nipote,
oggi, come ogni 27 gennaio, è il Giorno della Memoria. Una data che, per quanto possa sembrare solo un giorno come un altro nel calendario, è un segno profondo e indelebile di una tragedia che ha segnato per sempre la nostra storia. Il Giorno della Memoria non è solo un ricordo, non è solo un atto di commemorazione. È un impegno, una riflessione collettiva che, ogni anno, ci chiede di fare i conti con l’orrore, con la sofferenza e con l’incredibile disumanità di quanto accadde durante l’Olocausto. Ma è anche un’opportunità per noi di fermarci a pensare a cosa significano davvero la giustizia, la libertà, la dignità umana. Ti voglio raccontare il significato di questo giorno e perché è importante che tu, come tutti noi, non dimentichi mai ciò che è stato.
Quello che successe durante la Seconda Guerra Mondiale, e in particolare durante l’Olocausto, è un pezzo di storia che non si può ignorare, che non può essere rimosso dalla memoria collettiva. Fu una pagina nera in cui l’umanità ha toccato i suoi limiti più estremi, in cui la ferocia di un regime totalitario, il nazismo, cercò di cancellare interi popoli, razze, culture. Il 27 gennaio 1945, con la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche, il mondo venne a conoscenza di ciò che era accaduto al di là di quelle mura di morte. Ma non fu facile accettare quanto avvenne. Il dolore, la sofferenza, il numero enorme di vite distrutte non erano facili da comprendere, neppure per chi quelle atrocità le aveva vissute o le aveva sentite raccontare da lontano. Come giovane, mi ricordo quando sentivo parlare dei campi di concentramento. Non avevamo internet, non avevamo notizie costanti come oggi. Eppure, le storie di chi tornava dai campi, di chi sopravviveva, arrivavano comunque, filtrate dalla disperazione di chi era riuscito a scampare alla morte. Parlavano in modo tremante, ma chi li ascoltava capiva, capiva che quella tragedia non poteva essere ignorata, che quella memoria non doveva mai essere dimenticata.
Eppure, non fu subito chiaro per tutti che l’Olocausto fosse qualcosa da ricordare, da commemorare ogni anno. La stessa idea di un giorno dedicato alla memoria, una giornata in cui tutto il mondo si fermasse a riflettere su quello che era successo, non era scontata. Fu solo nel 2000, a distanza di oltre 50 anni, che l’Italia decise di istituire ufficialmente il Giorno della Memoria, fissandolo proprio al 27 gennaio, la data della liberazione di Auschwitz. Perché quella data, nipote mio, è simbolica. Simbolica non solo perché segna la fine della barbarie di quei luoghi, ma anche perché ci ricorda che la fine di quella tragedia non è mai una fine definitiva. Il dolore, la perdita, le cicatrici rimangono dentro di noi, dentro chi ha vissuto quella sofferenza. La memoria è la nostra salvezza, la nostra difesa contro l’oblio, la nostra arma contro chi vorrebbe che quella storia non venisse mai raccontata.
Eppure, ti sorprenderà sapere che, nonostante il tempo che è passato, c’è ancora chi tenta di negare, chi minimizza l’entità di ciò che è accaduto. Il negazionismo, caro mio, è una delle piaghe più pericolose che possiamo affrontare oggi. Quando qualcuno dice che l’Olocausto non è mai successo, quando qualcuno riduce l’immensità di quella tragedia a una favola inventata, ci sta rubando qualcosa che non possiamo permettere venga toccato: la verità. È come se cercassero di cancellare le storie, le sofferenze, le vite di milioni di persone che sono state sterminate solo perché appartenevano a una razza diversa, a una religione diversa, a un’etnia diversa. Il negazionismo è la tentazione di dimenticare, di archiviare l’orrore sotto il tappeto e di pensare che sia passato, che non ci riguardi più. Ma non possiamo, non dobbiamo mai dimenticare, nipote mio. Perché se permettiamo che questo accada, se permettiamo che quella memoria venga travisata o persa, rischiamo di ripetere gli stessi errori, di cadere nelle stesse trappole, di rifare gli stessi passi verso il buio.
Questo è il motivo per cui è così importante che il Giorno della Memoria sia celebrato in tutto il mondo. Non è solo una questione di storia, ma di educazione, di consapevolezza. È un’occasione per noi di fare il punto su quello che siamo diventati, su quello che la società ha imparato e su quello che, purtroppo, ancora non è stato imparato. La memoria è il nostro impegno per costruire un mondo migliore, un mondo in cui il rispetto dell’altro, la dignità della persona, la libertà siano valori inalienabili. La memoria è l’antidoto contro l’indifferenza, contro il razzismo, contro ogni forma di discriminazione. Perché, nipote mio, quando si dimentica ciò che è successo, si lascia campo libero a chi vuole ridurre l’altro a qualcosa di inferiore, a chi vuole fare delle differenze di razza, di religione, di orientamento sessuale, una giustificazione per l’odio e la violenza.
Ricordare non è solo un atto di giustizia nei confronti di chi ha sofferto, ma anche un atto di speranza. Speranza che, se impariamo dai nostri errori, se non dimentichiamo mai, possiamo evitare che un giorno simili atrocità si ripetano. Ogni anno, il 27 gennaio, dobbiamo fermarci a riflettere su questo. Dobbiamo ricordare tutti coloro che sono stati vittime di quell’orrore, ma anche tutti coloro che hanno lottato per fermarlo, che hanno messo in gioco la propria vita per proteggere chi stava per essere distrutto dalla barbarie. Penso ai tanti italiani che, durante la Seconda Guerra Mondiale, hanno rischiato la propria vita per aiutare gli ebrei a fuggire dai campi di concentramento, che li hanno nascosti, che li hanno protetti. Penso a figure come Giorgio Perlasca, che riuscì a salvare centinaia di persone fingendo di essere un diplomatico spagnolo, o a tutti quei soldati, uomini e donne, che si sono opposti alla follia nazista e che hanno fatto di tutto per non perdere la loro umanità in un mondo che sembrava averla persa.
Questo è il legame che ci unisce, nipote. Il legame che ci fa sentire la responsabilità di raccontare queste storie, di non lasciarle andare perdute nel tempo. Perché, alla fine, ogni nome, ogni volto, ogni vita che è stata strappata via ci parla ancora, ci chiede di non dimenticare. E ogni volta che ti racconto queste storie, che ti parlo di chi ha sofferto, di chi ha lottato, di chi ha visto il mondo andare in pezzi, ti chiedo di mantenere viva quella memoria. Ti chiedo di passare questa testimonianza ai tuoi figli, ai tuoi nipoti. Non sarà facile, lo so. Ma è il nostro compito. La memoria è un testimone che passa di mano in mano, da una generazione all’altra, per garantire che il passato non venga dimenticato.
Ogni anno, il 27 gennaio, fermati a riflettere. Parla di ciò che è accaduto, ascolta le storie di chi ha vissuto quei momenti terribili. E, soprattutto, cerca di capire perché è importante che tutto questo non venga mai più dimenticato. La memoria è il nostro scudo, il nostro monito. È la nostra risposta a chi vorrebbe cancellare la verità. Non possiamo permettere che accada. E tu, nipote, sei chiamato a mantenere viva quella memoria. A essere il testimone del futuro, come lo siamo stati noi, come lo sono stati i sopravvissuti, come lo sono stati coloro che non hanno avuto una voce, ma che sono morti affinché noi potessimo vivere liberi.
Con amore e speranza,
Il tuo nonno.
Scopri di più da FMTECH
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.