Caro Marco,
Oggi, 30 ottobre. Giovedì. Siamo a 57 giorni dal Natale. Dopo il pane, la valigia, il focolare e le campane, il mio pensiero va al futuro della nazione, che era nelle mani dei Bambini del Dopoguerra, e al ruolo fondamentale che ebbero il Gioco e l’Istruzione.
Ho chiesto a nonna Emma della sua infanzia in quel periodo. E lei mi ha parlato della creatività che nasceva dalla necessità.
“Non c’erano negozi pieni di giocattoli. La guerra aveva distrutto le fabbriche e le famiglie non avevano soldi per cose superflue. Ma non eravamo infelici,” mi ha assicurato.
L’Arte di Arrangiarsi: “Il gioco non si comprava, si costruiva.” Mi ha descritto i “giocattoli poveri”: le bambole fatte con gli stracci di scarto, i soldatini scolpiti con pezzi di legno di recupero, le piste scavate nella terra, le trottole fatte con bottoni e spago, i tappi a corona diventati monete preziose. Questo bisogno di fare ha nutrito l’ingegno e la collaborazione.
Il Gioco come Cura: Il gioco, soprattutto il gioco di strada, era essenziale. I bambini erano traumatizzati dalla guerra, ma attraverso l’imitazione degli adulti e la creazione di mondi fittizi, elaboravano la loro realtà. “Giocare a campana o a nascondino era un modo per riprendere possesso degli spazi che prima erano pericolosi. Giocare insieme, litigando e facendo pace, ricostruiva la nostra capacità sociale che la paura aveva spezzato.”
La Scuola Come Fondamento: Oltre al gioco, l’altra grande forza motrice era la Scuola. Gli edifici scolastici erano spesso tra i più danneggiati dai bombardamenti, eppure l’istruzione fu messa al centro della ricostruzione democratica. “I nostri genitori capirono che se volevamo una vita diversa, dovevamo studiare.” La scuola era il primo luogo dove si imparava a non essere fascisti, a pensare in modo critico, a diventare cittadini, non sudditi. In un paese ancora pieno di analfabetismo, la scuola rappresentava l’ascensore sociale della speranza.
Il gioco e l’istruzione, dunque, rappresentarono l’atto di ricostruire non solo i muri, ma le menti e le relazioni della generazione successiva, investendo sul futuro più che sul presente.
Il mio trentaquattresimo “Atto Bello” è la “Costruzione Creativa”.
Ieri pomeriggio, dopo essere tornata dal lavoro, ho messo da parte la mia solita lista di cose da fare. Ho preso una scatola di vecchie matite colorate che non usavo da anni, dei pezzi di cartone riciclati e un po’ di colla.
Invece di comprare un oggetto, ho scelto di costruire qualcosa di inutile ma bello: un piccolo presepe stilizzato usando solo i materiali che avevo in casa.
L’attività in sé è stata terapeutica. Ho dovuto concentrarmi sull’uso delle mani, risolvere piccoli problemi di ingegneria cartacea, riscoprire la gioia di dare forma a qualcosa dal nulla. Ho provato una soddisfazione che un acquisto non avrebbe mai dato: la dignità dell’autoproduzione. Ho riscoperto l’ingegno che nasce dalla limitazione.
Mancano 57 giorni. E ho capito che il Natale, nel suo senso più profondo, è l’atto di tornare a scuola e di tornare a giocare.
Tornare a Scuola: Significa dedicare tempo ogni giorno all’apprendimento, alla lettura, alla riflessione, per costruire un pensiero critico solido. Significa investire sul miglioramento continuo, non solo materiale, ma morale e intellettuale.
Tornare a Giocare: Significa permettere a noi stessi e ai nostri figli di usare la fantasia, di creare con poco, di elaborare le difficoltà attraverso la leggerezza. Significa ritrovare la gioia nelle cose semplici e riscoprire l’ingegno che ci rende esseri umani.
E tu, Marco? Qual è la “scuola” che hai abbandonato e che dovresti riaprire per migliorare te stesso? Qual è il “gioco povero” che ti libererebbe dal fardello dell’eccesso e ti riempirebbe di pura creatività? Smetti di consumare, inizia a costruire.
A domani, per un altro passo verso la speranza.
Cristina.
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