Nel mondo odierno, parlare di privacy sembra quasi un atto ridicolo, un desiderio da utopisti. Ogni giorno, siamo circondati da mille strumenti e tecnologie che ci dicono come proteggere i nostri dati, ma quando andiamo a guardare più da vicino, è evidente che la nostra privacy, quella vera, è praticamente inesistente.
Perdere ogni tipo di privacy è diventato la norma nel momento in cui ci iscriamo a un social network. Basta un piccolo post, una foto, un commento, e abbiamo già ceduto una parte del nostro privato. Non siamo più solo utenti: siamo prodotti. Le nostre abitudini, preferenze e opinioni vengono tracciate per alimentare sistemi di pubblicità mirata. Ogni click, ogni interazione è monitorato e utilizzato per fare soldi, non solo per migliorare l’esperienza utente, come ci piace credere.
Pensiamo a quanto poco ci interessa ormai delle informazioni che condividiamo. Molti di noi sono disposti a cedere le proprie coordinate geografiche, il luogo in cui si trovano, a chi sono vicini, quale film guardano, quale canzone ascoltano, tutto in cambio di qualche vantaggio immediato. Come se questo fosse il prezzo da pagare per “appartenere” alla società digitale.
Un altro esempio di quanto la nostra privacy venga costantemente violata riguarda le chiamate pubblicitarie. Ogni giorno siamo bombardati da promozioni di ogni tipo. A chi non è capitato di ricevere una chiamata che inizia con una voce registrata che ti dice: “Salve, siamo della XYZ, le offriamo uno sconto sul suo prossimo acquisto!”? Queste chiamate sono una violazione non solo del nostro tempo, ma della nostra privacy, un’intrusione in un ambito che dovrebbe essere nostro e solo nostro. La cosa più paradossale è che, pur avendo registrato il nostro numero nel “registro delle opposizioni”, le chiamate continuano a presentarsi come un’ombra costante. Il registro, che dovrebbe proteggerci, sembra ormai un sistema inefficace, incapace di fermare il diluvio di chiamate indesiderate.
Anche le visite mediche, uno degli ambiti in cui ci si aspetterebbe una certa discrezione, sono diventate un palcoscenico pubblico per i nostri dati personali. Immaginate di essere in sala d’attesa e sentire la segretaria chiamare il vostro nome seguito dal tipo di esame che dovrete fare. “Signor Frasson, visita oculistica”, annuncia in modo totalmente sguarnito di privacy. Non c’è alcun accenno di sensibilità, nessun tentativo di garantire un minimo di discrezione. Eppure, siamo costantemente bombardati da formulari e documenti da firmare per autorizzare il trattamento dei nostri dati. In pratica, le nostre informazioni vengono condivise e trattate da centinaia di attori, sia pubblici che privati, senza alcuna vera reale garanzia di riservatezza.
Siamo assediati da documenti legali che ci obbligano a firmare l’autorizzazione al trattamento dei nostri dati, ma è davvero possibile parlare di privacy in un mondo che sembra averla abbandonata? Il concetto di “autorizzazione” sembra ormai un’etichetta formale, una finzione. In realtà, non abbiamo altra scelta che acconsentire, se vogliamo continuare a utilizzare i servizi digitali che sono ormai parte integrante della nostra vita quotidiana. Facebook, Google, Amazon: tutti chiedono il permesso di raccogliere i nostri dati per “migliorare l’esperienza utente”, ma non è chiaro se queste informazioni siano effettivamente al sicuro o se vengano utilizzate per fini che non abbiamo mai immaginato.
Inoltre, come possiamo davvero essere certi che i nostri dati siano al sicuro? Ogni giorno, apprendiamo di nuovi attacchi informatici che mettono a rischio milioni di dati. Le nostre informazioni private, quelle che pensavamo di custodire gelosamente, sono facilmente reperibili in internet, spesso trafugate da hacker che vendono i dati a chiunque sia disposto a pagarli. In molti casi, anche le aziende che trattano i nostri dati non sono al sicuro da violazioni.
Oggi più che mai, il controllo dei nostri dati è un tema che ci riguarda tutti. Abbiamo fornito i nostri dati a centinaia di piattaforme e servizi, spesso senza nemmeno rendersene conto. Chi è responsabile di proteggerli? Le istituzioni? Le aziende? O siamo noi stessi, nel nostro piccolo, a doverci preoccupare di difendere ciò che resta della nostra privacy?
Se guardiamo alle leggi sulla protezione dei dati, come il GDPR in Europa, è difficile non notare una certa distanza tra ciò che viene promesso e ciò che accade davvero. Da una parte, ci sono normative sempre più stringenti sul trattamento dei dati; dall’altra, siamo costantemente esposti a rischi legati alla sicurezza e alla gestione di tali dati. Ogni aggiornamento software o applicazione porta con sé nuove “autorizzazioni” per accedere ai nostri dati, in un gioco di bilanciamento tra privacy e funzionalità che appare sempre più fragile.
La domanda che dobbiamo davvero farci è se la privacy, intesa come diritto inviolabile, esista ancora. Abbiamo davvero una privacy da tutelare? Oppure siamo tutti diventati “merce”, pronti a scambiare ogni nostro dato personale in cambio di un servizio, di un vantaggio, di una comodità?
La verità è che la privacy, come la conoscevamo, è ormai una chimera. Ogni tentativo di proteggerla sembra destinato a scontrarsi con una realtà in cui i dati sono diventati una risorsa troppo preziosa per essere ignorata. In un’era in cui siamo costantemente connessi, in cui le informazioni circolano liberamente attraverso reti lecite e meno lecite, e in cui i nostri dati vengono rubati, venduti e rivenduti, parlare di privacy sembra più un atto di speranza che una protezione concreta.
Oggi più che mai, la protezione della privacy appare come una battaglia persa. Siamo diventati esseri digitali, in cui ogni nostro movimento, ogni parola, ogni foto e ogni scelta è monitorata e archiviata. La privacy, come la intendevamo in passato, è un lusso che non possiamo più permetterci. Forse l’unica vera protezione che ci rimane è quella della nostra consapevolezza: sapere che la privacy è un’illusione, che dobbiamo fare attenzione a come e dove mettiamo i nostri dati, e che forse, la vera domanda è non se abbiamo una privacy da tutelare, ma come possiamo davvero tornare a proteggerla in un mondo che sembra non darle più importanza.
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