Caro Marco,
Oggi, 13 ottobre. Lunedì, un giorno che di solito è veloce, frenetico. Qui ad Aosta, il cielo si è finalmente schiarito dopo il vento di ieri, ma la luce è diventata tagliente, quasi metallica. Ogni cosa sembra più fredda, più definita. Sento che il tempo sta premendo, come se volesse schiacciarmi sotto il suo peso. Mancano 74 giorni e ho bisogno di ancorarmi alle nostre storie di attesa.
A scuola, stamattina, la prima cosa che facciamo quando entriamo in classe è guardarci allo specchio per sistemare i capelli, il trucco (le ragazze più grandi) o per farci i selfie. Noi siamo ossessionati dalla nostra immagine: dobbiamo apparire perfetti, sempre felici, sempre “sul pezzo”. La mia faccia su TikTok deve sorridere, anche se dentro ho la “Scatola delle Lacrime” che pesa.
Ho chiesto alla nonna Emma della loro immagine, nel dopoguerra. Avevano specchi? Si preoccupavano di apparire belli?
Lei ha toccato la sua guancia, segnata da un reticolo di rughe che io trovo bellissime. “Specchi? C’erano quelli piccoli, rovinati, con l’argento scrostato. E non c’era tempo per guardarsi a lungo, Cristina. Ogni minuto era prezioso.”
Mi ha raccontato che negli anni della miseria, l’immagine esteriore contava poco. Contava il lavoro, la fatica, la salute. Però mi ha parlato di un rituale. Mi ha parlato di Mamma Adele, la sua vicina, una donna rimasta sola con tre figli. Mamma Adele non aveva l’acqua corrente in casa per lavarsi in fretta.
Ogni mattina, Mamma Adele scendeva alla fontana pubblica nel cortile, con il freddo che spaccava le mani. Lei non si limitava a lavarsi. La nonna mi ha descritto come Mamma Adele versasse l’acqua fredda nel catino e, prima di toccarla, si prendesse un solo, lungo minuto per guardare il suo riflesso distorto e tremolante sulla superficie dell’acqua non ancora mossa.
“Non si guardava per la bellezza,” mi ha spiegato la nonna. “Si guardava per la prova. Si chiedeva: ‘Hai ancora la forza per affrontare questa giornata di fame e fatica? La paura ti ha vinto? No? Allora puoi andare.'” Quel riflesso incerto non era vanità, ma un esame di coscienza e un atto di resistenza interiore. Era la ricerca di un volto che avesse la dignità di affrontare il giorno.
Mi ha detto che, in vista del Natale, Mamma Adele guardava quel riflesso con un’attesa particolare, cercando di capire se il suo volto portasse i segni della pazienza e se fosse degno di ricevere la Luce che doveva arrivare.
Vedi, Marco, noi ci guardiamo per confermare che siamo come il mondo vuole che siamo. Loro si guardavano per verificare se il loro spirito aveva resistito. Noi abbiamo la tecnologia che ci permette di modificare la nostra immagine con un filtro. Loro avevano solo la nuda, cruda verità riflessa sull’acqua fredda.
E il mondo che ci bombarda di immagini di perfezione sui social, allo stesso tempo ci distrae dalle immagini della sofferenza vera (le guerre, la fame) che vediamo nei notiziari, facendoci credere che tutto debba essere risolto con una facciata di felicità.
Ho deciso che il mio quindicesimo “Atto Bello” doveva onorare il Volto della Pazienza di Mamma Adele. Doveva essere un atto contro la fretta e la vanità che ci rubano il tempo interiore.
Oggi, quando sono tornata a casa, invece di guardarmi nello specchio grande per vedere se stavo bene, ho preso il mio vecchio specchietto da borsetta – è piccolo, imperfetto, un po’ opaco.
Sono andata in bagno, ho riempito il lavandino di acqua fredda, e ho spento la luce elettrica, lasciando solo un piccolo raggio di sole che entrava dalla finestra. Ho aspettato che l’acqua si calmasse. E ho guardato il mio riflesso tremolante.
L’ho guardato per un minuto intero. Non per sistemare i capelli, ma per fare l’esame di coscienza della nonna. Mi sono chiesta: “Cristina, hai fatto la tua parte oggi? Il tuo cuore è stato generoso? La tua pazienza ha tenuto?”
Il mio volto sull’acqua non sorrideva, Marco. Era serio, un po’ stanco, ma c’era una strana quiete. Era il volto della mia resistenza. Non ho fatto un selfie di questo momento. È un’immagine privata, sacra, che porterò dentro fino a Natale. Ho asciugato l’acqua e il riflesso è svanito, ma la sensazione è rimasta.
Quando sono uscita, la nonna era in corridoio. Mi ha chiesto: “Com’era l’acqua, Cristina?” E io ho risposto: “Fredda, ma diceva la verità.” Lei ha capito.
Il conto alla rovescia è a 74 giorni. E sto imparando che la preparazione al Natale è prima di tutto un lavoro di onestà con il riflesso che ci guarda.
A domani, e spero che tu possa trovare un momento per guardare il tuo volto senza filtri, senza fretta.
Cristina.
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