La selezione del suono

Caro Marco,

Oggi, 3 novembre, il calendario non avanza solo di un giorno, ma di una trama interiore. Ieri ci siamo lasciati con il tessuto ruvido di un angelo di panno e la solenne promessa di lentezza. Oggi, però, la Curiosità Vigilante deve fare i conti con la Realtà Sonora che irrompe, tentando di distrarre la mia Sacra Lentezza.

Il mio “Atto Bello” di oggi è la Selezione del Suono.

Mi sveglio con il primo freddo che ha davvero morso l’aria e la costringe a vibrare in modo diverso. Non c’è più solo il profumo di terra umida, ma il primo flebile odore di fumo di camino che qualcuno, nel quartiere, ha osato accendere. Questo odore mi prepara all’inverno, ma è il suono che mi cattura.

Accendo la radio, cercando una melodia semplice, un sottofondo discreto. E vengo assalita. Il flusso costante della radio commerciale ha deciso che è già Natale. Non sono i canti solenni che amo, ma jingle sferraglianti e allegri, che parlano di sconti e offerte imperdibili. Questo rumore è la voce della Frenesia, quella che vuole rubarti l’attesa e scambiarla con il panico dell’acquisto. E subito, il telefono vibra: un messaggio vocale di mia sorella, lunga e concitata, che ha già iniziato a pianificare i menù, a chiedere che regali prendere per i bambini, a spingerci tutti in una spirale di preparativi logistici che rischia di soffocare il sentimento.

Qui, Marco, entra in gioco la vera magia del quotidiano: la capacità di ascoltare selettivamente. Come se il mio cervello fosse un selettore radio d’altri tempi, devo trovare la frequenza giusta e ignorare il brusio. Chiudo la radio, silenzio il telefono per un’ora. E lascio spazio al Suono Perduto.

Il Suono Perduto è quello del battito del mio cuore in questo silenzio imposto, è il tenue sibilo della caffettiera sul fuoco. E poi, è il suono che cerco e trovo in un vecchio disco di vinile. Un disco di Natale che non mettevo su da anni, uno di quelli che i miei genitori ascoltavano quando eravamo bambini. Lo cerco, lo trovo, e il giradischi, con il suo piccolo, rassicurante clic e lo scricchiolio iniziale, fa partire una musica che è un abbraccio. Non sono canti allegri, ma una melodia dolce, quasi malinconica, che parla di neve che scende e di caminetti accesi.

Questo suono mi riporta immediatamente a vent’anni fa, a una Vigilia in particolare, quando ero ancora una studentessa fuori sede. Ricordo che tornai a casa tardi, il giorno prima di Natale, e trovai la casa immersa nel buio, illuminata solo da una piccola lampada e dall’Albero, già pronto. Mio padre era seduto lì, in silenzio, con le cuffie sulle orecchie. Nonna Emma era già a letto. Mi sedetti accanto a lui, e lui mi tolse le cuffie per farmi sentire quel disco. Non parlammo per mezz’ora. Quella fu la lezione più grande di presenza che abbia mai ricevuto: il Natale non è parlare o fare, ma essere nello stesso luogo, al ritmo della stessa musica, nello stesso silenzio carico di significato.

Oggi, ascoltando quel vinile, capisco come bilanciare le storie parallele. Mia sorella con la sua frenesia non è sbagliata, è solo sintonizzata su un canale diverso, quello dell’azione. Il mio compito non è giudicarla, ma stabilire il mio ritmo. Le risponderò, sì, per rassicurarla, ma senza farmi trascinare nel vortice. Le regalerò la mia calma prima del mio aiuto.

In questo suono ritrovato c’è la chiave per il mio futuro prossimo: la mia vita, come quella musica, deve avere un ritmo proprio. Devo scegliere ogni giorno quali voci far entrare e quali lasciare fuori. Questo mi servirà, Marco, quando a dicembre le richieste si faranno insistenti, quando i bambini (i nipotini) mi chiederanno con occhi supplicanti se ho già comprato il regalo X. Sapere che posso creare un punto di silenzio nel caos è la mia vera armatura per l’Avvento.

La musica finisce con il leggero fruscio del braccio che torna indietro. L’effetto è quello di un profondo respiro. Ho ripreso il controllo del mio tempo, e la gioia, non la stanchezza, è il mio unico orizzonte.

A domani, con un nuovo elemento sensoriale da esplorare.

Cristina.


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