Caro Marco,
Oggi, 29 ottobre. Mercoledì. Siamo a 58 giorni dal Natale. Se ieri abbiamo parlato del focolare, del calore e della luce interiore, oggi è il momento di alzare lo sguardo e, soprattutto, l’orecchio: il Suono Ritrovato.
Ho chiesto a nonna Emma della vita fuori casa nel dopoguerra. E lei, senza esitare, mi ha parlato delle Campane.
“Durante la guerra,” mi ha raccontato, “le campane furono un obiettivo. Il regime le requisì per fonderle e ricavarne cannoni. In molti paesi, per anni, il silenzio della paura aveva coperto l’aria. Le campane non suonavano per avvisare, non chiamavano a raccolta, non scandivano la festa. Quando c’era lutto, si andava col passaparola, sottovoce. Quando c’era gioia, era una gioia privata. La comunità aveva perso la sua voce.”
Nonna Emma mi ha descritto il momento della ricostruzione delle campane come un evento incredibile, una vera e propria Resurrezione collettiva:
Il Bronzo della Speranza: Riuscire a rifondere un nuovo concerto di campane era un’impresa costosa, frutto di collette e sacrifici di tutta la popolazione, anche dei più poveri. Non era solo un oggetto di culto, ma il monumento alla ritrovata unione della gente.
La Voce della Comunità: Quando le nuove campane venivano issate e suonate per la prima volta, la gente si riversava in piazza in lacrime. “Non era solo il suono di Dio,” ha detto nonna Emma, “era il suono della vita che tornava. Annunciavano la messa, certo, ma anche l’ora del pranzo, la fine del lavoro nei campi. Sapevi che eri vivo, che non eri solo, che il tempo, il tuo tempo, era ricominciato a scorrere in modo normale, civile.”
Silenzio e Rumore Sacro: Nonna Emma ha sottolineato la differenza: il silenzio della guerra era un silenzio imposto, vuoto, pieno di minaccia. Il silenzio dopo il rintocco, quello tra un’Ave Maria e l’altra, era un silenzio riempito di significato, un invito alla preghiera, alla riflessione. Era un suono che permetteva il silenzio.
Il suono delle campane, insomma, non era solo musica, ma la colonna sonora della ritrovata civiltà, che dava forma al giorno e alla notte, al lavoro e alla festa. Era il simbolo udibile di una comunità che, dopo essersi smarrita, si chiamava di nuovo per nome.
Il mio trentatreesimo “Atto Bello” è il “Minuto di Ascolto Sacro”.
Oggi a mezzogiorno, nel pieno della frenesia della giornata lavorativa, ho spento ogni dispositivo elettronico: computer, telefono, radio. Mi sono messa alla finestra. Ho aspettato. Ho sentito il rumore delle auto, i clacson lontani, le sirene. Il rumore caotico della nostra modernità.
Poi, dal campanile della chiesa poco distante, sono arrivati i rintocchi dell’Angelus. Solo tre tocchi, un invito breve.
Ho usato quel suono come un interruttore.
In quel minuto, non ho solo ascoltato il bronzo, ma ho cercato di ascoltare il silenzio che quel suono creava intorno a sé. Ho lasciato che il rintocco non fosse un’interruzione, ma una cadenza, un punto fermo nella corsa. Per sessanta secondi, ho staccato dalla mia fretta e mi sono ricordata che il tempo non è solo ciò che scorre, ma anche ciò che ritorna – il ritmo della comunità.
Mancano 58 giorni. E ho capito che il Natale è la chiamata, l’annuncio che rompe il nostro silenzio vuoto e la nostra frenesia inutile.
Dobbiamo, come la comunità del dopoguerra, ricostruire la nostra capacità di ascolto e il nostro senso del ritmo. Dobbiamo permettere che il suono sacro (la Parola, la riflessione, l’amicizia vera) ci chiami fuori dal caos e ci ricordi che non siamo soli. Dobbiamo re-imparare ad apprezzare il silenzio che è frutto della voce vera, e non quello imposto dalla paura.
E tu, Marco? Qual è il “suono sacro” che non senti più nella tua vita, coperto dal frastuono? Qual è il tuo personale “rintocco” che ti chiama a fermarti e a ricongiungerti con ciò che conta? Prova ad ascoltare oggi, anche solo per un minuto.
A domani, e che tu possa sentire la voce della speranza.
Cristina.
Scopri di più da FMTECH
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
