Mani che ricostruiscono.

Caro Marco,

Oggi, 1° novembre. Sabato. Siamo a 55 giorni dal Natale. Dopo la Memoria, la mente non può che proiettarsi sul suo frutto più tangibile e onorevole: il Lavoro.

L’Italia post-bellica era un cumulo di macerie non solo fisiche, ma morali. Per un popolo abituato all’autoritarismo e alla guerra, il primo atto di libertà fu ritrovare il senso etico del lavoro e la forza della cooperazione.

Ho chiesto a nonna Emma di quel periodo. Lei mi ha parlato di suo padre, un muratore.

Il Sacro Ritorno: “Il primo lavoro non era per i soldi, era per la dignità,” mi ha detto. I reduci tornavano e dovevano ricominciare da zero. Il lavoro non era solo ricostruire il ponte, la strada o il campanile, ma ricostruire se stessi come uomini di pace. Mettere mattoni su mattoni, seminare il grano, forgiare il metallo: erano atti catartici contro la distruzione e l’inerzia.

La Bottega e l’Artigianato: Le grandi industrie erano in difficoltà, ma le botteghe artigiane divennero il vero motore della ripresa. L’artigiano, con il suo sapere tramandato, era l’emblema della tenacia italiana. Il falegname, il fabbro, il sarto non producevano in serie, ma rimettevano in sesto il tessuto della vita quotidiana, riparando l’indispensabile con cura e ingegno. Questo ha gettato le basi per quel “saper fare” italiano che poi sarebbe esploso nel boom economico.

La Cooperazione e l’Unione: La Costituzione della neonata Repubblica, entrando in vigore nel ’48, aveva messo il Lavoro a fondamento. Ma prima delle leggi, ci fu la pratica della cooperazione. Uomini e donne, spesso ex nemici o divisi da idee politiche, dovettero lavorare insieme per sopravvivere. Nacquero le cooperative di lavoro, di consumo, le prime forme di sindacato libero (dopo gli anni del corporativismo fascista). Questo “lavorare insieme” non era solo economico, era l’esercizio quotidiano della democrazia: confrontarsi, negoziare, mettere in comune forze e idee per un bene più grande della somma dei singoli.

Il lavoro, nel dopoguerra, era un atto sacro, un’attività di ricostruzione fisica, economica e democratica, radicata nell’eccellenza dell’artigianato e nella forza della cooperazione.

Il mio trentaseiesimo “Atto Bello” è il “Lavoro Consapevole”.

Oggi ho scelto di affrontare uno dei compiti più noiosi della mia settimana: mettere a posto lo scaffale dei libri e dei documenti che avevo lasciato in disordine per mesi.

Invece di farlo in modo sbrigativo, ho deciso di trasformare il compito in un atto di “artigianato organizzativo”. L’ho fatto con cura, non per dovere, ma per il piacere di vedere un risultato finale bello e ordinato. Ho spolverato ogni singolo oggetto, ho risistemato i libri per argomento e per colore, ho archiviato i documenti inutili.

Non è stato un lavoro “importante” in senso lato, ma la cura che ho messo nel farlo mi ha riempito di una strana soddisfazione. Ho sentito la dignità dell’azione, del fare bene una cosa per se stessa. Ho cooperato con il mio futuro me, che domani non dovrà perdere tempo a cercare le cose. Ho trasformato un dovere in una piccola arte.

Mancano 55 giorni. E ho capito che l’attesa del Natale ci chiede di riconsiderare l’etica del nostro lavoro.

Se il Lavoro è il fondamento della nostra dignità (come dice la Costituzione), quanto cura, cooperazione e consapevolezza mettiamo nelle nostre attività quotidiane? Quanto siamo artigiani di ciò che facciamo, invece che semplici esecutori?

Ti chiedo, Marco: qual è il tuo prossimo “lavoro di ricostruzione”? Un progetto professionale in stallo? Una relazione da riparare? Un’abitudine da forgiare? Non limitarti a fare, ma fa’ con Arte. Riscopri la dignità di un lavoro fatto bene, unisciti agli altri, coopera, e sarai il costruttore della tua rinascita.

A domani, per l’ultimo giorno di viaggio con nonna Emma.

Cristina.


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