Mi perdo nei tuoi occhi, un abisso incerto tra timore e un’indifferenza che sembra avvolgere il mondo. Ma forse, quel mondo per te è diventato un eco ripetitivo, una sequenza di giorni spenti, punteggiati da variazioni insignificanti. Come potrebbe essere altrimenti, con quella malattia che avanza inesorabile, un nemico silenzioso che erode il tempo, la tua stessa essenza terrena.

I ricordi sbiadiscono, e ogni tuo sorriso, apparentemente vuoto, mi lacera il cuore, riportandomi a un passato felice, ora così lontano. Poi, come un interruttore improvviso, la luce si spegne nel tuo sguardo, lasciando spazio a un’inquietudine che deflagra in reazioni nervose, a volte violente, di fronte alle domande più semplici. La ragione si smarrisce in questo labirinto di circuiti bruciati, una realtà sempre più inesorabile.

E io? Cosa dovrei provare? Un’imbarazzante confusione mi assale, un dolore sordo che oscilla tra il vuoto e la rabbia, un’impotenza così profonda da mozzarmi il fiato. Vorrei urlare, esprimere questo tormento, ma la voce resta intrappolata, soffocata da una corazza di apparente indifferenza, dietro la quale si celano solo debolezza e una tristezza infinita, venata di pietà.

A volte, confesso, un pensiero cinico mi sfiora la mente: che la fine arrivi presto, per dare un senso a questo strazio senza logica. Ma subito dopo, l’amore, il ricordo di chi eri, mi riporta indietro. E così, un altro giorno svanisce, lasciandomi sospeso nell’incertezza del domani. Il mio cuore oggi la pensa così. E domani? Chi lo sa.


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