Ci sono notizie che ci attraversano, ci feriscono, ci lasciano un senso di impotenza e rabbia.
Una donna uccisa con 75 coltellate non è una notizia qualsiasi. Non può diventare routine, non può passare come l’ennesimo caso di cronaca nera da commentare distrattamente. È un grido che deve svegliarci.
Settantacinque coltellate non sono una reazione impulsiva. Non sono un momento di follia. Non sono un blackout emotivo. Sono un atto ripetuto, consapevole, feroce. Sono la manifestazione più estrema e violenta di un’idea distorta di amore e di possesso.
Eppure, ogni volta che accade, una parte dell’opinione pubblica si affretta a cercare motivazioni che sfiorano la giustificazione. “Era geloso”, “era stato lasciato”, “non accettava la fine della relazione”. Come se questi elementi potessero, in qualche modo, rendere comprensibile, o peggio, accettabile, un omicidio.
Non c’è nulla che possa giustificare la morte di una persona.
Non c’è amore, dolore o frustrazione che possa trasformarsi in diritto di vita o di morte sull’altro.
Non esistono attenuanti emotive che possano alleggerire la responsabilità di chi uccide.
Quando si arriva a togliere la vita a una donna – o a chiunque – in nome di una relazione finita, non si sta parlando di amore. Si sta parlando di dominio, controllo, possesso. Di violenza mascherata da sentimento. Di una cultura che ancora oggi, troppo spesso, considera la donna una proprietà.
È questo che va smascherato.
È questo che va detto a voce alta, senza ambiguità.
Perché finché continueremo a raccontare questi fatti come “crimini passionali”, staremo alimentando la narrativa tossica del “l’ha fatto per amore”.
Chi ama, non uccide.
Chi ama, non umilia.
Chi ama, lascia andare, anche se soffre.
Chi ama davvero, rispetta la libertà dell’altro. Anche quando fa male.
Serve un cambiamento profondo. Nella comunicazione, nell’educazione, nella giustizia, nella società.
Serve smettere di dare spazio a narrazioni che umanizzano il carnefice e dimenticano la vittima.
Serve avere il coraggio di dire che nessun omicidio è comprensibile, tanto meno quando si tenta di giustificarlo con il sentimento.
Non è più tempo di silenzi.
Non è più tempo di “forse aveva le sue ragioni”.
Non è più tempo di accettare che certi comportamenti siano ancora visti come normali o tollerabili.
Dobbiamo scegliere da che parte stare.
Dalla parte della vita, del rispetto, della libertà.
Dalla parte di chi non c’è più. Di chi è stata uccisa, non perché amata troppo, ma perché non è stata mai davvero amata.
“Nemmeno per amore” non è solo un titolo. È una posizione. Una presa di coscienza. Un’urgenza sociale.
Che non ci siano più 75 coltellate da contare.
Che non ci siano più notizie da leggere con le lacrime agli occhi.
Che non ci siano più giustificazioni dove deve esserci solo condanna.
La violenza non ha scuse.
Nemmeno quando si maschera d’amore.
Le statistiche mondiali sui femminicidi nel 2024 sono purtroppo ancora allarmanti.
- Ogni 10 minuti, una donna o una ragazza viene uccisa dal proprio partner o da un membro della famiglia.
- Nel 2023, a livello globale, sono state uccise intenzionalmente 85.000 donne e ragazze.
- Di questi omicidi, circa 51.000 (il 60%) sono stati commessi da partner intimi o da altri membri della famiglia.
- In media, 140 donne o ragazze sono state uccise ogni giorno nel 2023 da qualcuno della loro stessa famiglia.
- In Europa e nelle Americhe, la maggior parte delle donne uccise nella sfera domestica (rispettivamente il 64% e il 58%) sono state vittime di partner intimi, mentre altrove i familiari sono stati i principali autori.
Ti invito a condividere questo post, a scaricare il testo creato in pdf e a diffonderlo… Perchè ci sia maggior consapevolezza, maggior rispetto, perchè solo parlandone non si metterà tutto a tacere… …. e forse potremo, un giorno, contare molte meno vittime…. Grazie!
Da una idea di fmtech.it
Marco A. Frasson
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