Un due novembre particolare

Caro Marco,

Oggi, 2 novembre, la luce si è fatta straordinariamente fragile. È una domenica, e il giorno dedicato alla Memoria Solenne si è appena concluso, lasciandomi addosso non la pesantezza del lutto, ma la leggerezza di una radice finalmente onorata e riconosciuta. Abbiamo sigillato il capitolo della ricostruzione morale che ci ha insegnato a non temere le macerie, ma a considerarle il fertile punto zero di ogni nuova storia. Ora, l’aria è intrisa di petricore, quel profumo di terra bagnata dalla pioggia leggera che sa di rinnovamento, quasi un incenso naturale che benedice l’inizio del nostro Calendario Emozionale.

Il mio Voto Quotidiano di ieri, quello della responsabilità e della lungimiranza, oggi si trasforma in un primo, piccolo atto di preparazione, una sinfonia interiore che inizia con un tono sommesso. Seduta alla finestra, osservo il mondo esterno muoversi, e mi accorgo di quanto sia facile farsi risucchiare dalla fretta, dalle prime luci appese in centro che urlano “compra, corri, consuma!”. E invece, il mio cuore ha scelto una diversa direzione: la Lentezza Sacra.

Il mio “Atto Bello” di questo 2 novembre è stato il Tessuto del Ricordo. Ho aperto un vecchio scatolone polveroso, di quelli che si trovano solo nei ripostigli più segreti, che custodisce le vecchie decorazioni di Natale. Non quelle moderne e perfette, ma quelle sbeccate, quelle fatte a mano da bambini ormai adulti. La lana è ruvida al tatto, il feltro dei pupazzi è schiacciato dal peso degli anni. E lì, in mezzo, trovo un piccolo angelo di panno, cucito da me quando avevo otto anni. Un angelo con un’ala storta e un sorriso storto. Toccandolo, il tempo si annulla.

Improvvisamente, mi ritrovo bambina, seduta accanto a Nonna Emma – sì, Marco, non è del tutto sparita, è una presenza eterea, un filo conduttore che non si può tagliare, anche se i suoi racconti tacciono per ora. La sento mormorare, non con parole di guerra, ma con parole di creazione. Mi insegnava a usare l’ago e il filo, e ogni punto era un piccolo atto di fede nel futuro. Ricordo l’odore delle sue mani, un misto di farina, sapone di Marsiglia e cannella. Quell’angelo storto non è un oggetto, è una capsula temporale che racchiude l’emozione della concentrazione infantile e della condivisione silenziosa.

Questa sera, dopo aver rimesso a posto le decorazioni (non è ancora il momento di appenderle, devono attendere la loro ora), mi dedico alle Storie Parallele. Penso ai miei amici, sparsi in città e nel mondo. Penso a Silvia, la mia amica architetto, che proprio in questi giorni starà affrontando una tempesta di scadenze lavorative, combattendo contro il cinismo dei clienti. So che lei, come me, ha bisogno di un faro interiore per non naufragare nella frenesia moderna. E penso a Paolo, l’amico che ha appena avuto un bambino: il suo Natale sarà un vero e proprio Nuovo Anno Zero, un’epifania di pannolini e meraviglia assoluta. La sua attesa non è per i regali, ma per la prima risata consapevole del figlio sotto le luci.

E i regali, Marco? Ho scritto la prima bozza della mia lista, ma non ci sono oggetti costosi. Ho segnato un’intenzione per ognuno: per mia madre, un pomeriggio di silenzio in cui faremo l’album di fotografie che rimanda da anni, un regalo di tempo condiviso. Per il nipotino, non l’ennesimo giocattolo di plastica, ma un libro antico, con le pagine ingiallite, che profuma di avventura, un ponte tra il passato che ho amato e il suo futuro remoto ancora da scrivere. Questo è il mio modo per sfidare il consumismo: trasformare l’acquisto in un atto di significato profondo.

Guardando fuori, il cielo è nero come velluto. Mi sorge un pensiero improvviso, un lampo sul futuro remoto: fra trent’anni, come ricorderemo questo periodo? Sarà la nostalgia del digitale, del messaggio vocale inviato e mai cancellato, del click di una videocamera anziché il rumore del carillon. Spero che sapremo lasciare ai nostri eredi non solo la tecnologia, ma la disciplina emotiva che stiamo coltivando in questi giorni: la capacità di spegnere lo schermo, di sentire l’odore della terra, di dare valore al suono ovattato della pasta che si lavora in cucina.

Per ora, il mio 2 novembre si chiude con la consapevolezza che il Natale non è una meta, ma un viaggio lento e sensoriale. Ho messo via l’angelo di panno, ma il suo tocco ruvido mi ha lasciato sul palmo della mano una sensazione di gioia incipiente, quel misto di malinconia e speranza che è il vero spirito dell’attesa.

A domani, quando ci concentreremo su un nuovo senso, lasciando che il mondo ci parli con la sua voce più vera.

Cristina.


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