Filastrocca dei zolfanelli
Di sala in sala Paolinetta
Gira e rigira , sola soletta.
Di casa uscendo la sua mammina
Disse: “Ricordati di star buonina!”.
Ma se non teme d’esser sgridata
Grida, fa il chiasso quella sventata.
Ecco essa vede sul tavolino
Dei zolfanelli lo scatolino.
“Oh, che grazioso bel giocherello!
Io voglio accender lo zolfanello.
La mamma accenderlo veduto ho spesso,
Io vo ripeter quel gioco istesso!”.
E Minz e Maunz, i due gattini
Alzano al cielo i lor zampini.
Gridano: “Il babbo questo non vuole
Più non rammenti le sue parole?
Miao, miao, miao,
Suvvia finiscila con questo gioco
Che c’è pericolo di prender fuoco!”.
Ai due gattini Paolinetta
Intenta al gioco non può dar retta.
Ecco la fiamma s’accende e brilla,
crepita il legno, scoppia, scintilla.
Tutta contenta la pazzerella
Agita il foco, ride, saltella.
E Minz e Maunz, i due gattini
Gidan : “La mamma questo non vuole,
più non ricordi le sue parole?
Miao, miao, miao,
Suvvia finiscila con questo gioco
Che c’è pericolo di prendere fuoco!”.
Ahimè la fiamma la bimba investa
Ardon le treccie, arde la veste.
Corre la misera di loco in loco
Non c’è più scampo, è tutta un fuoco.
E Minz e Maunz inorriditi
Mandano acuti urli infiniti
“Miao, miao, miao,
Qui qui venite, venite in fretta,
muore bruciata Paolinetta!”.
Brucia in un soffio, sfuma in un punto
Veste e persona, tutto è consunto.
Un po’ di cenere e due scarpini
Cara memoria dei suoi piedini
E’ quel che resta! Non c’è più nulla
Di quell’indocile,vispa fanciulla.
E Minz e Maunz,, i due gattini
Tergon le lacrime coi lor zampini.
“Miao, miao, miao,
Ahi! babbo e mamma, ahi! dove diete
Ma vostra figlia più non vedrete!”.
Come un ruscello che irriga i prati
Scorron le lacrime dei desolati.
Filastrocca dei giorni
Trenta giorni ha novembre
con april, giugno e settembre
di ventotto ce n’è uno
tutti gli altri ne han trentuno.
Ritorno alle origini

E’ come farsi volutamente del male… ogni volta che ci torno è sempre così… si riapre una ferita in verità mai chiusa…
Ricordo ancora le facce tristi che non avevano bisogno di parole per dire ciò che era comprensibile quanto assurdo e totalmente ingiusto…
Mi bastava osservare il tuo sguardo e la secchezza delle tue labbra che sposavano quella delle palpebre che avrebbero voluto rompere quella diga che da allora contiene tutto quel dolore e quella naturale rabbia che ci sta e che è comprensibile e condivisibile in cuor mio…
No! non avrebbero mai dovuto proferire quelle parole amare, cattive, senza senso e senza alcuna ragion di esistere… eppure… eppure sono state dette ed io le ho sentite, nella loro stupidità, nella loro totale freddezza e cattiveria…
Ne sono passati di anni…eppure no… non ci riesco a dimenticare tanta atrocità…è vero si tratta solo di parole… eppure sono state fendenti e tremende come ulteriore lacerazione di quanto già il dolore, per sua natura, compiva in quei momenti…
E’ vero, all’epoca non ho riversato fisiche e inutili lacrime di circostanza…continuo a versarne nella quotidianità… nel trovare la forza e il coraggio di portare avanti ogni giorno con impegno e rispetto quanto mi è stato insegnato… ed ogni volta che sono al tuo cospetto mi rendo conto di essere ancor più piccolo di quel che credo di essere..
Mi mancano le nostre partite a carte in cui si giocava e si scherzava a chi riusciva ad essere più baro, mi mancano quelle filastrocche che ancor oggi non riesco a ricordarmi a memoria e che tanto fanno male perchè così vere e così reali (nonostante sia passato così tatno tempo…)
E mi mancano le nostre passeggiate verso i campi inseguendo l’orizzonte e il calar del Sole… Mi manca il vedere quel motorino mentre al ritorno a casa dalla visita per la colonia ti vedeva aspettare il nostro ritorno…
Mi mancano terribilmente quei momenti trascorsi ad osservarti alle prese con la saggina e con le scope che creavi con quelle mani segnate dal tempo e dalla vita in campagna…
Mi mancano quegli occhi piccoli, sempre più, che osservavo e in cui cercavo di capire cose che solo il tempo mi ha insegnato e lo ha fatto con quella spietatezza che nessun’altro uomo ha mai saputo spiegarmi nel proteggermi da quanto il tempo stesso ha saputo presentarmi… mi manchi terribilmente tu ed ora più che mai mi rendo conto che ciò che mi hai lasciato mi sta sfuggendo con il tempo di giorno in giorno…
Osservo le sue mani e le mie.. si consumano con il tempo, lo stesso che ha consumato anche te… e più lo osservo e più mi rendo conto di quanto il tempo lo stia plasmando per essere ciò che la natura ha voluto che fosse ovvero il tuo erede… e quanto vorrei poter , vigliaccamente e impropriamente, essere capace di dominare quell’impavido tempo che in maniera cosi bastarda e insensibile ha lavorato nelle nostre vite modificandole così radicalmente….
Mi manchi e so che leggendo queste mie righe mi sgrideresti e che saresti lì a darmi quei consigli preziosi che mi impedirebbero di sbagliare o che sarebbero in grado di dare una giustificazione o di rendere meno amari gli errori che commetto di giorno in giorno…
E osservo in silenzio quanto uno scatto è riuscito a immortalare e rendere così eterno in una foto per me così importante, che si mischia fra tante altre foto senza significato alcuno per molti… ma non per me…
Ed ecco il perchè forse della mia passione per le foto… forse la ricerca di bloccare nel tempo ciò che la memoria , forse, non sarà in grado di conservare e di mantenere vivido e acceso…
Sposto il mio sguardo all’orizzonte e davanti a me cascine, terreni, vigne e pannocchie e poco più in là, al di fuori delle mura dei girasoli che sovrastano la collina alla ricerca di quel collegamento più vicino con il cielo, mentre in secondo piano c’è tutto un mondo ignaro di quanto avvenuto e in corso d’opera..
E’ amarezza, egoismo ciò che alberga nel mio cuore, nella mia mente, irrispettosa delle regole ben più grandi imposte a noi esseri insignificanti e di passaggio in questo pazzo pazzo Mondo…
E’ la speranza di tornare un giorno a trovarsi seduti allo stesso tavolo e a confrontarci a verificare i punti della nostra enn che sei con me ancheesima partita.. e accettare il conteggio dei cinque punti (e non non quattro) cosciente della “barata” e lieto di poterla ancora vivere…
E’ quella fitta che di tanto in tanto solletica il cuore e che fa entrare come un affilato coltello un brivido talmente gelido da far sanguinare ancora quel ricordo di quei momenti in cui il rispetto di coloro che sono stati concepiti e messi al mondo è venuto meno con le loro insipide parole…
E’ la coscienza del fatto che solo il tempo farà il suo corso e che, come si è comportato nei nostri riguardi, saprà rendere giustizia meglio di qualunque altra cosa…
Sono fortunato, più di quel che possa rendermi conto e forse anche un pò ingrato per quanto mi è stato offerto nel tempo e non sono stato in grado di apprezzare e vivere… e mi aggrappo ai ricordi, alle persone a cui voglio bene perchè sono l’unica certezza e l’unico motivo reale per cui lottare e trovare quel coraggio che sempre più è necessario per vivere serenamente e onestamente il tempo rimasto…
Mi soffermo a guardarmi alle spalle e mi rendo conto che molta strada è stata fatta anche per venire sin qui… molta ancora (si spera) ce ne resta da fare… e intanto cala la luce e il Sole inizia a dipingere di mille tinte il circondario e le ombre si fanno sempre più lunghe…
E’ come se le note di un piano mi spingessero a ripartire… e tu che anche in questa occasione sei con me, che con un rispetto così profondo e con quell’amore che così sai dimostrarmi, sai nelle poche parole dette, stringermi il cuore e scaldarlo ed io che nel mio misero essere mortale vorrei lasciarmi andare in quelle maledette lacrime strozzate allora, mi richiudo in un silenzio che tanto vorrebbe urlare…
…ancora un minuto… un solo minuto… quel tanto che basta per prendere fiato a pieni polmoni e cacciare in gola ciò che tanto sarebbe inutile e fuori luogo dire…
Osservo quelle braccia spalancate mentre mi volto e mi rivolgo al cancello in uscita…. Sto per ripartire.. per risalire in macchina e rimettermi in viaggio…
Lo farò come sempre, come ogni volta che ritorno qui, con molta lentezza e con rispettosa calma… quasi a non voler tornare… cosciente però che è inutile restare ancora…
So che sei con me, con noi, come avresti voluto essere e non ti è stato permesso di fare…
Questo mi basta per “ricaricare le batterie” e tornare sereno e più leggero al quotidiano arrabattarsi nel vivere…
Ti volto, vi volto le spalle, e lo faccio con la speranza di potervi ritrovare ancora la prossima volta e di poterlo fare con la stessa sorpresa che ogni volta mi porta qui.
E ringrazio il cielo e le persone che hanno saputo volermi bene e che tutt’ora me ne vogliono, nonostante me e nonostante tutto e tutti… e spero che lo stesso cielo sia così magnanimo da lasciarle ancora a lungo al mio fianco perchè, anche se non glielo dico tutti i giorni, sono per me così importanti che davvero non saprei come fare senza di loro…
Inserisco la chiave nel cruscotto e lentamente la giro… si riparte… destinazione casa…
Chissà… forse un giorno anche io farò ritorno alle origini..
Una del gruppo
Silvana vide la luce per la prima volta il 20 gennaio di 27 anni fa, nella città di Roma. La sua famiglia si trasferì quando aveva ancora 5 anni a Milano.
Il padre, Filippo, decise di “cambiar aria” per andare alla ricerca di un’occupazione che potesse fruttare un po’ più di denaro, di un impiego che potesse dargli un po’ più di tempo da trascorrere con la sua famiglia.
Ora Silvana vive in un mini-appartamento ammobiliato, una vera e propria occasione, proprio come quando 3 anni fa disse nel bel mezzo di una cena, una delle tante, che voleva andarsene a vivere da sola.
Quella sera per Filippo, la moglie Angela ed il fratello più piccolo Andrea, sarà difficile da dimenticare.
Silvana, fino ad allora , ragazza mite, una “con la testa sulle spalle”, affrontò l’intera famiglia, alla quale è tutt’ora molto unita, per avallare questa inaspettata idea. Era tempo, oramai parecchio, in cui tutti i ragazzi di una certa età, dimostravano di essere autosufficienti.
Tutte le sue amiche, ed erano molte, avevano fatto, o come lei si preparavano a fare il grande passo. Alcune di loro erano riuscite a dividere la casa o l’appartamento con altre amiche; le più fortunate, a sentir loro, con un ragazzo.
A lei tutto ciò non importava. Non aveva il desiderio di convivenza, ma bensì di libertà, responsabilità, quella che sempre gli era stata sovente citata e che lei mai aveva potuto provare.
Inutile dire che i piatti di minestra vennero sorseggiati freddi, o che il colorito arrosto che stava nel bel mezzo della tavola non venne neppure toccato. Dopo la proposta, che Silvana fece quando tutti erano seduti a tavola, ci fu subito un silenzio tombale. Le parole che scaturivano dal televisore, giungevano distanti e moltiplicate, come se ci si trovasse nella valle dell’eco.
D’improvviso si sentì il tonfo del cucchiaio che, improvvisamente andava a cadere sul bordo del piatto, rompendo il ghiaccio.
Al contrario di ciò che si era aspettata, non venne tempestata di domande e ciò la colse impreparata.
Sentendosi tradita, fu lei ad inveire contro quei volti che , ancora increduli, cercavano un punto d’appoggio valido per poter attecchire un discorso meritevole di tale nome.
Vi fu la reazione di Angela che fece volare un ceffone che lasciò il segno sulla guancia già rossa di Silvana. Non lo aveva mai fatto! Lei la mamma contraria alla violenza, si era lasciata andare.
Filippo si alzò di scatto e cercò invano di fermare la fuga di Silvana che oramai si era lasciata la porta alle spalle. Si sentì decisamente solo quando, vicino alla finestra, vedeva il caos sotto di lui, ancora incredulo e nello stesso tempo impotente. L’unico che sembrava non dimostrare alcuna preoccupazione era Andrea il quale, dall’alto dei suoi 17 anni disse: “non preoccupatevi, domani non si ricorderà neanche più ciò che ha detto”.
Quanto era vicino il domani…!
tutti lo attendevano, chi ancora alla finestra fantasticando, chi lavando le stoviglie tra le quali cadeva qualche lacrima e chi tra il telecomando del televisore e del videoregistratore.
Erano le tre quando l’uscio di casa rivide davanti a se il viso abbondantemente irrorato dalla irruente pioggia dell’ultim’ora, di Silvana.
Fu piacevole trovarsi Fifi, la gatta, che riconosciuto il passo, si sdruciva calda fra le bianche e umide caviglie.
Silvana fece particolare attenzione alle scale che doveva affrontare per andare in camera a riposare. Il rumore delle scarpe, ormai zuppe, venne magistralmente coperto da una serie di tuoni che ne facilitarono il passaggio.
In verità, sebbene tutto fosse spento, in ogni cuore, in grado di intendere la situazione, ci fu una folata di vento caldo e rassicurante nel sentire quei passi felpati percorrere ancora casa.
Passarono i giorni, mai il tempo trovò l’occasione giusta di attecchire in quel pensiero ormai fisso nella mente di Silvana.
Ogni sera, al ritorno dal lavoro, Filippo si trovava il giornale piegato bene ma privo della pagina immobiliare.
Il tempo per un breve periodo, trascorse senza far sentire il peso di quell’inverno che, ancora una volta, l’ultima, aveva visto questa famiglia sotto lo stesso tetto tutta unita.
La primavera fu portatrice non solo di una nuova aria ma anche del realizzarsi di un sogno; quello di Silvana. Loro malgrado, i genitori, visto che tutt’ora Silvana è impiegata e che quindi può sostenersi; di fronte a questa realtà in modo unanime, persero una parte di loro stessi, vedendo la figlia più grande che partiva dal nido per solcare nuovi orizzonti e per costruire a sua volta il suo nido. Era solo il primo “volo”.
Non era un’addio, ma l’atmosfera era quella, nonostante tutti facessero attenzione a non darlo a vedere. Solo Andrea, quando dopo pranzo la vide entrare nella stanza che li vide crescere insieme, si lasciò andare e disse: “Ehi, testa matta!! Occhio a ciò che fai OK??”. Silvana si rese conto che non era il solito Andrea che le parlava. Di questo gli fu sempre grata. Lo è anche ora che si vede disperata andare incontro alla morte.
Silvana, la bionda , slanciata, longilinea, giovane occhi blu, sa che fra pochi mesi entrerà a far parte dei ricordi di molti, anche di chi l’ha odiata.
Ricorda ancora, quando appena si trasferì ai borghi dell’eterna città, conobbe Pierpaolo. Bello! Quanto era bello Pierpaolo. Castano, sfacciato e incredibilmente dolce. Peccato fosse da un po’ di tempo il boy-friend di Serena, la sua migliore amica nonché compagna di casa.
Bhè! Non lo fu per molto dato che dopo un po’ si accorse che c’era del dolce e dell’intesa fra Silvana e il suo ragazzo. Fu serena che scomparve dalla scena, un po’ per amore, un po’ per amicizia, forse anche per odio. In fondo gli aveva soffiato il suo ragazzo, sfumato tutti i progetti e “bruciato” tutti quei bei momenti vissuti insieme…
D’altro canto Silvana e Pierpaolo effettivamente formavano una bella coppia. Il bello è che lo fu per parecchio tempo. A poco a poco, tra una pizza, il cinema, il lavoro, la palestra e la discoteca si era solidificato e rafforzato quel rapporto che la vide protagonista della sua storia.
Presentò dopo circa sei mesi di beata convivenza il suo ragazzo alla famiglia che, tra la sorpresa e i timori di un’ulteriore allontanarsi, accolse Pierpaolo con la dovuta iniziale freddezza.
Le stagioni si erano susseguite e rincorse fino a raggiungere nuovamente il freddo e autentico inverno di un paio di anni fa.
Fu proprio una di queste gelide serate che vide l’ennesima trasformazione di Silvana. La mutazione continuava a seguire le sue innumerevoli tappe e tra la dolcezza e l’amore vero Silvana si ritrovò donna. Non che già non lo fosse, ma per lei questa era la prima volta in cui veramente si sentì amata da chi follemente amava anche lei.
Da quell’amore non nacque mai un’altra creatura; eppure da quel giorno, un’impercettibile cuore batteva dentro lei. Quel cuore ancora l’accompagna e sarà l’artefice del suo vuoto.
La nostra e sua storia continua ora affrontando ciò che ognuno di noi almeno per una volta ha vissuto. C’è per tutti quella storia dalla quale è difficile staccarsi o guarire.
Per Silvana si trattava di una ferita ancora più profonda; tanto quanto l’amore che aveva riversato a Pierpaolo che la lasciò per un’altra.
Da lì per Silvana le cose peggiorarono, Peggiorarono proprio quando sotto la grande quercia, la stessa che li vide amoreggiare, lui gli disse, spietatamente freddo, che se ne sarebbe andato.
A nulla servirono, da prima i pugni sul suo petto dorato, e poi le preghiere con le quali, umiliandosi al massimo, cercò di tenerlo ancora a se.
Non riuscì a farsi forza e per un certo periodo si ammalò.
Il periodo diventava un po’ troppo lungo, tanto che decise di recarsi dal proprio medico per saperne di più e per trovare risposte a quelle domande che gli tormentavano la testa.
Il medico, resosi conto della situazione, come a volte capita, prima di pronunciarsi, fece fare a Silvana accurati esami.
Si sa; in Italia prima di poter far esami specialistici, ci vuole molto. E’ in quel tempo che Silvana si fece coraggio e riscoprì a piccoli passi, il piacere e il grande valore della vita. Andò in montagna e al mare, fece altre conoscenze e si affidò molto più a ciò che gradiva.
Sovente si trovava immersa in un libro e in una passeggiata nei prati montani a contemplare la natura o i tramonti che tanto ama.
Quasi si scordò degli esami; oramai aveva riacquistato la normale vitalità. Che bisogno c’era di portarli immediatamente al medico? Così si attardò per alcuni mesi.
Il medico , per altro coscienzioso, tornò ad invitarla a farsi viva nel suo studio, quando la rivide casualmente nello stesso supermercato intenta a fare compere come lui.
Fu li, si… proprio li che scoppiò la bomba.
Il medico, amico d’infanzia di Silvana, si trovava nella delicata situazione in cui non è facile destreggiarsi. Fu infatti molto difficile per Paolo, medico di città, abituato alle più disperate realtà, dire a Silvana che era ammalata di AIDS e che il suo era uno stadio avanzato in cui era molto difficile pronosticare la benché minima guarigione.
Ci volle tutto il suo tatto che, nonostante tutto, risultò inutile per chi, come Silvana amante della vita, si vede calare a ghigliottina della “dama nera”.
Non ci volle molto per capire quale fu la fonte dalla quale attecchì tale “disgrazia”. Non fu odio, ma bensì una miscellanea di tenerezza e compassione; quella che provò verso l’artefice di tutto ciò.
Accolse con molta tranquillità la sentenza di quella “sorte”.
Si fece ancora una volta forza e capì che mai come ora aveva bisogno d’amore, quello vero, sia di quello famigliare. Il problema era: a chi rivolgersi ? Poteva rivelare il suo cruccio ai suoi genitori? Nooo…!!! E le amiche? Neppure !!!
Non era possibile, è peggio che dirlo al vento, la voce poi corre…
Per ora l’unico a saperlo era proprio l’ex compagno di scuola nonché, ora, suo medico. Ciò non la rincuorò di molto, anche se Paolo cercò di fare di tutto per rendere meno noiosa la via da percorrere. Un sacco di volte si era ritrovata stesa sul letto a pensare alla morte prima di adesso.
Ciò gli capitava sovente, soprattutto quando aveva dei problemi ai quali non riusciva a trovare ne testa ne coda.
Ora che la morte se la sente scorrere tra le vene, pensa ancor più alla vita e non ha più paura, come un tempo, quando più giovane, pensava a ciò che giornalmente leggeva sui giornali o vedeva tra i telegiornali.
E’ buffo. Ora che ne avrebbe avuto tutti i diritti, avviene l’inverso.
Di questo si trova spesso a parlare con suo fratello che ora ha 20 anni.
Sette anni sono tanti ma possono essere anche pochissimi, tutto sta a volerli vivere bene e insieme. Questo Silvana lo aveva scoperto un po’ tardi, fortunatamente non troppo; quel tanto che basta per poter porre rimedio ad alcuni errori già fatti.
Ora ascolta incredula le parole che zampillano dalla gola di Andrea che, sempre dall’alto dei suoi vent’anni, ma con molta più armonia, cerca di recuperare anch’egli il tempo perduto in stupidi battibecchi.
Per Silvana tutto ciò è troppo bello. A volte pensa che vorrebbe spegnersi con accanto quella peste di suo fratello. Ora è molto più attenta al mondo che la circonda, coglie più attentamente i piccoli particolari e si domanda senza trovarne soluzione, il perché di tanta stupidità nella gente.
Silvana e i suoi 27 anni. Chissà da quanti non entrava più in una chiesa! Tanti…
Anche oggi, nel pomeriggio, c’è stata. Sovente si interroga domandandosi se c’è qualche cosa dopo e se c’è se è uguale a ciò che il suo parroco cercava di far immaginare con le sue colorite e approfondite spiegazioni che lasciavano, i bambini del tempo, estasiati e partecipi.
A volte si chiede se esiste veramente Dio. Non se Egli sia giusto, ma se ci sia.
Per Silvana rimarrà sempre il recondito desiderio di vedere crescere e allevare un figlio suo. Da ragazza si sfidava con le altre nel dire a che età avrebbe concepito la sua creatura, a che età avrebbe fatto l’amore e insieme alle amiche ci fantasticava trascorrendoci interi pomeriggi.
Molti dei suoi bambolotti erano stati suoi figli, ma lei credeva che quella volta il bambolotto sarebbe cresciuto in lei. Invece, al posto del bambino si insediò un male incurabile che giornalmente cresce con lei.
Fortunatamente ha i suoi amici, ugualmente la sua famiglia, il suo lavoro, insomma la sua vita.
Stasera ad esempio ha chiuso la boutique. Alle 19.30 ha preso il tram e si è messa a pensare a cosa fare durante la serata.
Dopo cena i piatti, stendere i panni, stirare e poi finalmente la televisione in poltrona. Anche stasera il Maurizio Costanzo Show.
Nel salotto televisivo, questa sera si parla di casi come il suo, e qui Silvana avverte una sorta di lieve dolore, una quasi impercettibile lacrima gli percorre la guancia destra, alla ricerca di un po’ di serenità. Si parla di storie vere, come la sua, come si parla di musica o di amori seri di una quattordicenne che come lei fantasticava e si trovava cullata dagli amori “lampo”.
Si parla di libri, come i sogni impassibili o come gli interrogativi che anche lei si è posta. Anche lei oggi si è chiesta se Dio esiste e anche lei, come chissà quanti altri, rimane a bocca aperta nel sentire quella giovane ragazza che dice, quando chiamata in causa: “se esiste non lo so; se c’è lo ringrazio per ciò che mi ha dato; altrimenti è una delusione”.
A cavallo di questa nobiltà d’animo, augurandole di essere più sveglia di lei, Silvana si fa trasportare, catturata dalla stanchezza e cullata dai vicini sogni, in un sonno ristoratore.
Il televisore rischiara il suo viso che sprofondando nella poltrona, cerca l’angolino giusto per poter far fiorire i suoi sogni.
Silvana fra tre mesi non si sveglierà più tra noi, non vedrà più il tramonto che tanto amava, ne accarezzerà più il gatto che andava fra le sue bianche caviglie.
Chissà quanti, come lei, vivranno la morte prima di una cura o chissà…
Ore 04.30 del 20/01/1993
“Dedicato a tutti quelli sani che
si lamentano e non sanno che
c’è chi muore nel loro lamento…”
Frasson Marco.
Storia (vera) di una partigiana
Mi permetto di riportare (in versione originale, con tutti gli errori che ne comportano) il testo di un fortunato incontro…
All’epoca ero militare e nel rientro verso casa ebbi la fortuna di imbattermi in una signora loquace e di una certa età che proferì parole che sono rimaste impresse nella testa, nella carta e in un nastro audio che (all’epoca) pensai di trascrivere subito con alcune note a corredo per dare spiegazione di quanto ebbi la fortuna di vivere…
Oggi giorno in cui ricorre la memoria, invito tutti a leggere queste righe perchè si troveranno cose che i libri di storia non riportano e posso garantirvi vere in quanto chi le ha vissute sulla propria pelle le ha raccontate con la sua provata ma viva voce….
Nel rispetto del ricordo e nella speranza che siano di monito per le future generazioni…

Storia di un viaggio in treno, un viaggio nella storia, fra rotaie e ricordi…
In queste pagine che seguiranno vi è un piccolo spaccato della nostra storia.
Una storia che non si troverà così riportata nei vari libri di testo.
Eppure si tratta della storia… Quella che si studia sui libri di scuola.
Il dialogo che vedrete trascritto in queste pagine, non è frutto della fantasia, bensì il racconto di una partigiana combattente incontrata per caso su di un treno.
Sono parole forti. Storie che nessun libro potrà mai riportare con quei toni e quei sentimenti di chi quegli avvenimenti li ha vissuti in prima linea.
Mi rendo conto di aver “trafugato” in una cassaforte, che è la memoria di questa anziana signora, i “segreti” che gelosamente venivano custoditi in un’anfranto della sua memoria. Credo che non si possa correre il rischio di “buttare” al macero queste testimonianze perché, come leggerete, la signora in questione non ha alcuna intenzione di tornare a parlarne. Rispettando la sua decisione, mi sono permesso di conservare con la sua voce in un nastro, quasi mezz’ora, ciò che ho potuto salvare, di questa gradevole, quanto mai interessante discussione.
Tutto ha inizio alla stazione ferroviaria di Savona. Nel compartimento ci siamo un altro ragazzo ed io. Stiamo parlando di musica, generi, e altro… Ad un certo punto, aiutata da una ragazza, entra un’anziana signora che si mette a sedere proprio di fronte al ragazzo appena conosciuto.
Si parla di mode, dei telefonini, delle maniere di fare e subito si fanno paragoni con il passato. La donna, chiaramente tirata in causa, ci dice che avendo ottantacinque anni, di cose ne ha viste diverse…
[Dialogo riportato a memoria e non presente sulla cassetta]
“La cosa più dolorosa per me è stato non poter mai dire la parola MAMMA.
Io non ho mai conosciuto la mia mamma. Nemmeno mia suocera sono mai riuscita a chiamare con quel nome lì. Mamma.
Io son nata a cavallo della prima grande guerra, e la seconda l’ho vissuta!
All’epoca avevo due figlie ed ero sola perché mio marito era stato richiamato al fronte. Viaggiava sui treni ambulanza come infermiere… io al paese dov’ero salutavo sempre un maestro. Lo salutavo, non è che facessimo politica o chissà cosa altro eh…
Bhè. Io a quel maestro lì ci avevo salvato la moglie. Ecco perché quando lo incontravo per strada lo salutavo. Una notte sento bussare sulla porta. Chiedo: “Chi è!” mi risponde “Amici” e io “Io non ho amici a quest’ora della notte”, “Sono il marito della signora… Son venuto fin qui a costo della mia vita per avvisarvi.. Forse sono stato seguito… Voi fate in fretta… Prendete il più possibile e scappate via di qua. Anche a me mi hanno interrogato per ore, ma poi sono riuscito a dimostrare che con quella persona lì non avevo niente a che fare. Solo buongiorno e buonasera.”
Avevano scoperto che quel maestro lì era un reazionario. E lì che fare? Scappare…
Ho preso quanto potevo, e non era tanto perché una figlia l’avevo in braccio mentre l’altra la tenevo per mano, e me ne sono tornata al paese…
Sapevo che comunque non sarebbe finita lì così…
Di lì a un paio di mesi mi arriva in casa il maresciallo dei carabinieri che mi dice “Io non ci credo perché ti conosco, ma devo fare così altrimenti mi fucilano a me… Senti ti do un mese di tempo e poi ti mando a prendere dai miei carabinieri. Te cerca di scappare sistemati via le figliole e scappa… vai via di qua!”
E così feci… sistemai le figlie e poi scrissi al marito… Poi lo raggiunsi facendo anch’io l’infermiera.
Io alle mie figlie non gli ho mai fatto mancare un pezzo di pane. Magari il companatico qualche volta si, perché non erano bei tempi quelli, ma un pezzo di pane non gli è mancato mai! E so solo io le vite che ho dovuto fare perché non mancasse mai quel pane…”
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Resomi conto dell’importanza di quella testimonianza storica, mi armo del mio registratorino portatile e me lo infilo nel taschino della camicia, mettendolo in funzione.
Il resto del dialogo, fra i rumori del viaggio è qui trascritto fedelmente.
NDR.
Alcune spiegazioni sono portate al lettore dalle parentesi tonde ( ) Mentre i dialoghi dei viaggiatori sono riportate in parentesi quadre [ ].
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“….combinazione, mi ero fatta degli amici all’altro paese, dove c’era il comando, che mi dava la parola d’ordine e la contro-parola. Quando passavo il posto di blocco ci dicevo: “Volete la parola d’ordine? La contro-parola? Vado dal comandante” (la risposta di chi la fermava era) “Andate!”.
Entravo da un posto di blocco e uscivo dall’altro. Solo che l’ultima missione che ho fatto è stato di salvare la diga di Molare. Voi sapete dov’è Molare… Vicino a Ovada.
Che nel trentacinque veva fatto tanti danni quella diga…e che si era rotta una saracinesca ehh!!! Portato via cascine, animali. Era venuto il Re e la Regina. Mi ricordo come se fosse adesso, a vedere i danni…Ehhh.
Poi era venuto l’ordine, dall’America, dall’Inghilterra, di salvaguardare il possibile. Insomma che non facessero più saltare i ponti, non facessero più… più…, di salvaguardare le dighe, insomma; di salvare il salvabile, il possibile. Allora sono andata e di qui avevo i repubblicani tedeschi,di qui avevo i partigiani che combattevano, eppure ho portato tutta la pianta della diga… poi sono andati due comandanti… non hanno sbagliato di una virgola. Han trovato dove io ho segnalato tutte le mine. (le mine erano) Rase a terra, il filo ben piantato in terra, che loro non lo potessero vedere. Prima di andar via son andati per schiacciare, per far saltare in aria la diga… la diga non si è mossa! Che poi dopo poco c’è stato l’undici di aprile.
Ma in tutte le missioni c’ero io.
Ho conosciuto due tedeschi, che erano a Alba. … Ogni volta che prendevano qualcuno dei nostri, i partigiani, loro si costituivano a noi. “Siamo venuti perché hanno preso il tale, tale, tale, dei vostri partigiani. Siamo venuti noi come ostaggi, così fate cambio.” Poi un giorno ci ho detto:”camerata… non lo fate più… non lo fate più…o rimanete con noi, o non lo fate più, perché sinceramente io non vi vorrei sulla mia coscienza, perché vi ho conosciuto io siete esseri umani come me, dovete combattere contro la volontà, come me… Allora cerchiamo di essere buoni amici come lo siamo sempre stati ma non rischiate più. (Risposta dei due tedeschi) “Va bene. Allora rimaniamo con voi.” Io vi prometto, perché ve lo posso promettere, poi li ho portati al comandante. Il comandante gli ha detto: ”Voi siete quelle brave persone… state tranquilli che non vi verrà torto un capello, perché il primo che io vi ha torto un capello, io lo faccio fuori!”
Però da noi…
Quanti militari ho raccolto la Monte Rosa, la Cunense, la Juilia… tutta gente che veniva dalla Russia. Ragazzi sbandati che non sapevano dove andare. Li ritrovavo per i boschi…
“Ragazzi cosa state facendo? Venite con me… Vi fidate? Venite con me. Sono una madre di famiglia. Consideratemi una sorella. Venite con me. Se poi volete, mangiate e dormite. Se poi volete andare rischiare a raggiungere le vostre case, andate, se credete di stare meglio. Siamo troppo distanti… Noi vi mandiamo rimaniamo in Italia, rimaniamo con voi. ….
Ma una scema come me, scusate noi eravamo rimasti..
Quando hanno occupato la Sicilia, più la bassa Italia, hanno requisito la moneta, perché hanno messo moneta nuova ,no? Avevano raccolto tutti le monete da mille, e ce li hanno lanciati a noi negli zaini da alpini. Dopo quindici giorni che hanno fatto questi lanci, io e mio marito, abbiamo attraversato due colline, no? Siamo andati nel vallone per poi salire su un’altra collina , e ci dico a mio marito: “Guarda là, quella sacca” mi viene con uno zaino. Andava preso e portato all’aviazione, eh… A volte invece se li mangiavano. Questo zaino qui era andato perso. Noi prendiamo questo zaino e lo portiamo al comando. Dieci milioni c’erano dentro… Bhè? Noi a Genova eravamo senza casa! C’ho ancora la lettera in casa , eh… Ho preso due mila lire per onestà e galanteria in sevizio! [voce fuori campo:”Potevano dare qualcosa di più”] Come? [ Potevano dare qualcosetta di più!] Davvero!!
Questo per dimostrare che mio marito, l’hanno messo a un bel momento ad andare a requisire, no? I contadini lo chiamavano! Lo chiamavano. Con noi, c’hanno guadagnato tutti! Non c’hanno rimesso un centesimo. Perché, quando io e mio marito eravamo ad Alba, tutti i contadini che si sono presentati con la ricevuta, perché mio marito rilasciava la ricevuta, davano cinquanta chili di farina? Ottanta chili! Tre polli? Cinque polli! Tre tacchini? Sei tacchini!
Lo chiamavano tutti! Ci davano le patate, noi non le abbiamo volute. Però quando è finita la guerra tutti ci chiamavano perché ci volevano invitare! Distribuivamo sale, caffè.. Ai partigiani il caffè, non glielo facevo nemmeno vedere… Tutto il caffè ai vecchi e ai malati… Venivano le donne… Tenete: sale, sale, sale. Mi portavano di tutto. [Il sale all’epoca valeva più dell’oro].
I vecchi mi venivano a cercare come se fossi stato un porcino. (I vecchi gli dicevano) “Ce l’hai un sigàro?, ce l’hai un sigaro? Ce l’hai un pacchetto di tabacco?” Allora ciccavano… di quei cichettoni… Mamma mia… Quando gli davo un pacchetto di.. di.. tabacco o un sigaro… “Portami solo qualche sigaro. Non ci pensare che alle tue figlie non faranno fame. Te la porto io la roba.”
Mai, nemmeno un etto di roba alla borsa nera!
Sono arrivata io… c’era il papà di un partigiano che faceva la borsa nera. Faceva vedere che andavano con un carro di legna, sotto la legna c’era il maiale. E nel paese c’era un maestro Che giustamente! Io lo trovavo giusto e lo troverei giusto anca oggi eh però! Diceva: “Noi non ne possiamo trovare un mezzo pur pagandolo, e tu lo porti via dal paese! Perché! Te lo paghiamo anche noi!” L’ha fatto prendere. Dai carabinieri! Non dai fascisti. Dai carabinieri. E’ andato in [non si capisce] dai carabinieri : ”fermate quel carro. Sotto alle fascine c’è un maile.” Sotto alle fascine c’era il maiale! Se non arrivo io in tempo, volevano fucilarlo. Ho detto: ”Se fucilate voi(voi detto per errore e incalzato da lui) lui mi fucilate anche a me!” Mi son messa al fianco. C’ho detto: “ Adesso se c’hai il coraggio, guardami bene nella faccia e sparami! Perché se spari a lui mi devi sparare anche a me. Perché è inutile sparare…”
Per me ha fatto una cosa giusta. Per me ha fatto una cosa giusta. Perché l’ha tolta ai suoi concittadini, ai suoi paesani, per portarla dove poteva fare… Non si fa così… Con me non si fa così! Non l’ha ucciso. Poi hanno trovato che effettivamente era un furfante. Il papà di questo partigiano. Allora poi lo fregavano loro…
A che posto siamo qui? Ferrania. Ma ferma a Ferrania? Credo di no? Perché han detto che ferma a San Michele!
[ Il ruolo dei carabinieri all’epoca com’era? Ambiguo o chiaro? ]
No i carabinieri, no… era poco chiaro.. No ma erano tra il martello e l’incudine…Erano tra il martello e l’incudine anche loro… mah!!!
Mai!!! Mai!!! Mai, ci facevano una specie di processo, ci interrogavano, io volevo esserci presente… Dico: “Ma.. se vengo a sapere che ammazzate una persona, io vi pianto lì baracca e burattini, e me ne vado.”
[ Ma lì il ruolo suo lì qual’era?]
Staffetta! Staffetta. Io quando non andavo fuori, facevo da mangiare per tutti. Come facevo da mangiare io! Si facevano tutti così (e faceva il segno di leccarsi le dita).
[ E che cos’è che si mangiava? ]
Ah io facevo pasta fresca! Io Impastavo! Perché mio marito portava la farina, e poi le uova.
Ci facevo dei minestroni… che me ne impippo…
Verdura, fagioli, quella roba lì, la trovavano eh! Perché tutti avevano l’orto. Un pò l’uno, un pò l’altro un pò l’altro, ci mettevo su delle pentole di minestrone che si leccavano le cinque dita.
[ E non erano certo bei tempi ]
I tempi non erano belli di sicuro perché eravamo sempre in tremarella così eh! Cari miei…
Io ho detto solo Quando è finito ho detto:” Ti ringrazio che sia finita.”
Lei è vicino ad Alba. [ Di Fossano ] Fossano.. Non c’è mai stato, vicino ad Alba, alle tre stelle…
Ci sono ancora le mani appese… Un ragazzo di quindici anni hanno avuto il coraggio di uccidere…
Tedeschi…tese così [indica le mani tese verso il cielo] le sue mani sono là. Certo c’è la nicchia, con le sue mani, quindici anni Quindi mi ricordo , diciamo, che c’era un ragazzo giù all’angar, c’era un altro ragazzo che gli hanno ucciso tre fratelli e il papà. Eh.. c’han detto “vuoi vedere che ti piglio, tanto gli dicevano, quando ce la faceva, tanto non hai più nessuno…” Eh.. mi diceva: “Pierina vado io perché conosco il posto come il bosco” Ma guarda che ti sparano! “Ma io sono un ragazzino cosa vuoi che mi facciano…” Trova un branco di tedeschi e ci dice: “Cari camerati volete proprio spararmi?” Si apre la giacca che aveva su.. Ma non ci sparano davvero???
Io ho trovato tanti ragazzi… tanti giovani…che han fatto tanta strada, poveri ragazzi… Chi andava in Sicilia, chi andava in Calabria, chi andava nel Veneto, chi andava verso il Friuli… Una cosa da non dire… Gli sbandati che ho visto io…Mah!!! “Ah..” dicevano “Non possiamo dimostrare chi siamo. Non possiamo dimostrare da dove veniamo perché siamo scappati. Veniamo dalla Russia.
Il papà di Fini (Gianfranco Fini) Era partigiano anche lui… Lui è nato nel cinquantadue perciò non lo ha mai visto e mai conosciuto il fascio.
[Il papà di Gianfranco Fini..]
Si! Non l’ha conosciuto il fascio, perché è nato nel cinquantadue…e lo dice ancora adesso. “Noi siamo un movimento, non siamo neanche un partito. Siamo un movimento neanche un partito. E’ inutile che venite a parlarmi a me di fascismo” Ha bisticciato con la Mussolini. Hanno litigato forte. Lui ci ha detto: “Cosa ne sai te del fascismo che sei nata dopo” E’ la figlia, la nipote di Mussolini è la figlia adottiva.. eh.. e c’ha detto: “ e tu cosa vuoi saperne del fascio…” Infatti si incroccano sempre… Infatti dice: “Io. Chi dice che sono fascista si sbagliano di grosso. Io non l’ho visto. Non l’ho vissuto, non lo voglio conoscere… il fascismo”.
[ E a riguardo di Mussolini cosa ne pensa…]
Hitler (mima il gesto del taglio della gola)… Lo minacciavano, perché l’avevano preso, Mussolini, l’avevano preso… Dovevano arrestarlo! E… e io mi sono arrabbiata con Valerio, il partigiano che l’ha ucciso. Mussolini poteva essere un GRANDISSIMO ostaggio. Poteva essere un grandissimo testimone, di tante e di tante cose! Poi se era da giustiziare lo lasciavano giustiziare dagli americani o dagli inglesi.
[ Valerio chi era…?]
Un partigiano! Quello che ha preso Mussolini che l’ha ucciso subito lui e la… (smorfia di disgusto) l’amante. Ce l’aveva.. ha ucciso tutti e due… Io ho detto subito : “Ha sbagliato!” Avrei ucciso anche lui. Ma non per niente: perché era un ostaggio importante! Perché Mussolini è stato tradito dai suoi stessi uomini! Perché quando… quando sono andate le navi in Egitto, no?, piene di benzina, erano piene di acqua! Infatti a noi ci chiamavano badogliani. Noi non eravamo badogliani! Noi eravamo esercito di liberazione. Pertini (il fù Presidente Sandro Pertini) mi ha mandato il diploma d’onore… Ce l’ho a casa… ho fatto il quadretto. Che allora il “coso” della Polizia era Spadolini (Giovanni Spadolini). Ed era firmato da Spadolini e Pertini.
[In che anno?]
Eh.. già da un po’ Un giorno ricevo una busta così (indica una busta dal grosso formato) grossa così. Cosa diavolo ci sarà lì dentro… E poi c’era questo coso qui firmato da Pertini, la lettera di Spadolini e firmata anche da Pertini. E dietro proprio “Per la partigiana combattente mmmm diploma d’onore” che corrisponde a Cavaliere. Io me ne frego! Non mi interessa proprio niente del mio diploma d’onore… ma che fosse finita e basta!
[Non ha mai pensato a lasciare a qualcuno queste memorie?]
No. [Perché?] Non ne ho mai parlato con nessuno! Non ne ho mai discusso ne parlato con nessuno. Io non ne parlavo mica mai. io ero contenta che fosse finita. Ho già versato troppe lacrime! Ho già pianto troppo io! Si perché quei poveri ragazzi che sono venuti dal fronte, che sono venuti in Italia solo a morire! Quello mi è dispiaciuto. Doverli assistere solo a morire. Quello mi è dispiaciuto troppo! Perché in realtà non siamo buoni. Arrivavano dei giovani! Dio, dicevo, ma .. ma perché sono venuti nella loro patria solo per morire. E non c’era niente. Quando è venuta fuori però la STREPTOMICINA!!! Mi sono mossa e ho fatto correre tutti gli ammalati! Gli studenti non la volevano perché l’aveva inventata un russo. [Cos’era?] La streptomicina. Che ha salvato da quella malattia lì che oramai lo streptococco , lo stafilococco , oramai la pennicellina ci conviveva. Facevano così (e sfrega due dita insieme in segno di comunella).
Che ha debellato quella malattia lì è la streptomicina. Gli studenti di Genova hanno fatto una grande manifestazione che non l’accettavano. E loro, leggevano i giornali, dicevano ma perché? Se fossero armi hanno ragione a fare la dimostrazione, se fosse la bomba atomica, hanno ragione. Se fossero armi, hanno ragione, però se si parla di un medicinale, la medicina non ha frontiere, non ha barriere. Perché noi, avessimo avuto dei tedeschi, avessimo avuto da curare un malato, noi non avevamo né frontiere né barriere.
Noi dovevamo… Per noi erano esseri umani che si dovevano curare e mettere mano e non la politica. La politica non è la medicina e non c’entrava un cavolo. Perciò quando allora erano disperati perché non sapevano come fare. Allora sapevano che io era partigiana. Il presidente dalla commissione una sera è venuto da me. Dice: ”Bianchi, ci dia una dritta lei… Se non ce la da lei chi ce la dà.” Io ve la do, io ve la do, vi aiuto; però se fate il mio nome, non guardatemi più nella faccia. “Le do la mia parola di onore! Che nessuno sa niente! Organizzo tutto io! E io invece vi faccio fare gli striscioni, vi faccio fare tutto.” Ci ha fatto fare gli striscioni, siamo partiti, in sanatorio… siamo andati su per le strade principali, andati in prefettura, [ a Genova ] a Genova. Dopo ci ha ricevuto la commissione, la commissione, li ha ricevuti. C’ho detto: “avete un’arma nelle mani che è peggio della bomba atomica.” C’ho detto: “Fate la coda in fila. Vi preparate tutte le vostre sputacchiere. Tutti in fila. Un bello striscione. Noi non vogliamo politica, far del male a nessuno, siamo stanchi, venuti dal fronte. Non ci possiamo presentare alla famiglia, di fronte al mondo, perché siamo solo che dei cadaveri non più degli uomini. Vogliamo riornare ad essere uomini. Della gente. Non dei rettili.”
Tutti con la sua sputacchiera nelle mani per Genova. Noi facciamo una sfilata pacifica.
E chiediamo solo la medicina.
“Fateli venire!” Il prefetto ci ha detto: “Non date ascolto ai studenti. Avrete la streptomicina. Ve lo prometto, ve la faccio avere!” Andata e andata è arrivata tutta la streptomicina. Con quello la tubercolosi è stata debellata. L’unica medicina che ha debellato la tubercolosi. Che ha combattuto tutti gli streptococchi, stafilococchi, stafilococchi… tutti guarda… incredibile… anche adesso per i cocchi gli stafilococchi …. C’è solo la streptomicina che li combatte. Con la pennicellina sopravvivano.
[La questione della bomba nucleare come l’avete vissuta?]
Quella bomba che hanno buttato a Hiroscima? Siamo stati tutti qua da cani! Tutti contro! Fermi non aveva studiato la sua bomba per far del male così, l’aveva studiata per fare un campo, come là lì, come la tac. Voleva metterla in campo medico. Non in campo…bellico. Io sono contraria come la gente. [ io non ho mai capito…] cosa la bomba atomica? Ma chè! Scherziamo davvero?!?! [domanda di chi viaggiava con noi, tentativo di chiedere spiegazione per i campi di concentramento…] Ma vuoi mettere! Per cent’anni nascono dei bambini che son dei malformi, disgraziati!
[domanda di chi viaggiava con noi, tentativo di chiedere spiegazione per i campi di concentramento…] …. Si, si… Ma è stato allora a farli vivere. Mi ha aiutato bene.. li teneva nascosti lui! Si, si…
Ma c’è della gente… c’è della gente. Io conosco…Io conosco una persona…Ma io conosco una persona ,conosco una persona che a questa storia non ci credeva [ai campi di concentramento e alla fuga in massa degli ebrei], no, non che non ci credeva! Poi ha parlato con delle persone…posso fare anche il nome…eh… LEVI. I Levi, sono ebrei. Levi sono ebrei. Io a fare un favore ho salvato una famiglia dei Levi. E non erano stupidi eh! Ecco!
[Primo Levi???] E lui era un dottore nel commercio, la moglie era professoressa, il figlio era dottore, la figlia dottoressa…. Quando c’è stato la guerra qui in Israele, erano giù con le maniche tirate su. Facevano i muratori, facevano i contadini, facevano i minatori, facevano tutti i mestieri.
Si son comportati da veri ebrei! Hanno creato tutto. Se lei và a vedere adesso Israele, se lei và adesso è un giardino! Non è più un deserto! Perché guardi che le prime albicocche vengono da Israele! Le prime pesche vengono da Israele. Poi vengono confezionate Albenga poi vengono vendute per frutta di Albenga, ma vengono da Israele. I pompelmi, c’è scritto Kaifa là sopra? Vengono da Israele!
[…… commenti vari sul tema]
Ma a me gli ebrei, a Israele, m’hanno fatto girare… mi hanno portato a Betlemme, a Gerusalemme, m’hanno portato sul Monte Sinai, Mi han fatto girare tutta la Palestina, e tutti i paesi.
I Levi… I Levi….
[Dialogo per la stazione di Ceva, perché lì doveva scendere e non c’era mai stata.]
[ Mi toglie una curiosità? Del Guareschi sa qualcosa?]
Guareschi? No!
Ho letto (Varese mi porta via il nome) Pavese. Pavese ! [L’ha conosciuto?] Uffff! [Com’era di persona? Un conto è leggerlo sui libri di scuola… ] Ma una brava persona…Una persona, una brava persona… [com’è morto?] E’ morto a Torino perché poi è andato a Torino.
Ceva! Ceva ! Ullalla!!
Pensieri di neonati
Devo dire la verità… Qui sento si inizia a stare un po’ stretti… Per carità si sta al caldo, cullati, nel morbido ma faccio realmente fatica a muovermi… Forse e il caso che inizi a farmi sentire, a scalciare un pochino….
Ma poi cos’è tutto questo trambusto ora! Prima sdraiati, poi seduti, poi sdraiati, poi più aria o meno aria… Che sta succedendo qui???
Mi arrivano anche cose strane dal cordoncino… È un misto fra paura, dolore, felicità, intontimento e non so cos’altro bene cosa….
Se poi provo a girarmi vedo una luce in fondo a questo strano tunnel… Una lucina piccola a due la verità che poi si allarga però la vedo…
A dirla tutta sento una strana spinta come se mi volessero buttare fuori di qua (ma poi dico io perché? Che cosa avrei poi fatto di male per essere espulso?)
Nel frattempo la luce si fa più forte è quasi accecante…

Mi sento tutto strano…
Tutto si svolge abbastanza velocemente…
Io che mi affaccio quasi a voler dire “cucù! Eccomi qua” e nel frattempo un frastuono fra chi grida e provando tenore della voce un dolore immenso, altri che mi girano intorno, un tipo strano che grida girando con un affare in mano come se volesse mostrarmi a qualcuno e finalmente in tutto questo movimentatrsi di persone delle mani con dei guanti che amorevolmente si prendono cura di me che nel frattempo sono praticamente sfrattato da quella che per circa nove mesi mi ha fatto da casa….
A dirla tutta mi sento sporco, viscido, appiccicaticcio e poi mica ci vedo così bene…
In più c’è sempre, fra le mille persone che ho attorno, sto strano tipo che non la smette di parlare a voce alta e di girarmi intorno con questo oggetto misterioso e che mi ispira poca fiducia….
Certo nella situazione in cui sono mi viene solo da piangere…
Anzi quasi quasi lo faccio anche se in realtà non so in fondo a che serva è come si faccia…
Inizio a urlare un po mentre qui c’è chi si prende cura di tagliare (senza per altro chiedere nulla) quel cordone che mi lega con la mia ex casa!
Ma accidenti ma perché mi sfrattate così?
Intanto vengo accuratamente lavato, pesato e subito coperto, anche perché son nudo e ho il mio innato senso del pudore!
E sto tizio che insiste a girarmi intorno a mettermi davanti agli occhi sto affare strano in cui si vede un’altro viso che non ho mai visto….
Le mani con i guanti blu mi sorridono con degli occhi così teneri che finalmente mi scaldano un po più della copertina che mi hanno nel frattempo messo addosso…
Con voce e tocco delicato mi appoggia su una parte morbida che sento che batte forte forte e mi sembra un tamburo e anche di riconoscerlo anche se il suono pare più ovattato, più debole, mento forte seppur accelerato….
E mentre lo strano tizio continua a fare facce strane e a muoversi in maniera scordinata sta, attirando l’attenzione e sguardi non tanto benevoli su di lui, la voce dai guanti blu dice delicatamente “ecco suo figlio! Sta benissimo!
Pesa tre kg e duecento grammi ed e un bel maschietto…” In quell’istante esatto ho iniziato a sentire dell’umido sul braccino cicciotto ma giuro che io sono innocente!
Non ho fatto nulla!!! Erano le lacrime ,questa volta di felicità, di colei con cui ho condiviso per nove mesi tutto….piaceri, dolori,paure, esami, spavento, discussioni, piccoli vizi e tante cose buone oltre e che un sacco di emozioni indescrivibili che per poterle dire tutte ci vorrebbe una vita intera….
Ma il tizio ancora non la smette con sto coso? E poi perché mi tolgono dalle calde braccia della mia mamma per farmi in braccio proprio a lui?
Di nuovo? Ma ditemi! Devo rimettermi a piangere? Che cosa avrei fatto di male adesso per meritarmi tutto questo?
Sono nato da pochi minuti e praticamente il tizio ha trasmesso in diretta ogni cosa e ora vuole pure prendermi in braccio!? Ehi guarda che sono un maschietto infreddolito potrei fare strani scherzi….
E poi non sono ancora abbastanza grande per firmare autografi….
Mi consegnano nelle mani dell’uomo con l’aggeggio strambo che finalmente si infila nella tasca e a lui dicono che sono suo figlio, che sto bene,che peso….
Insomma tutte queste cose qui….
Confesso che in quel momento di applauso generale (forse anche perché era stato messo via l’arte se malefico in tasca) devo essermi emozionato e questa volta l’autore del rigolo nei pantaloni dell’uomo ero stato proprio io…..
Mi ha guardato… Tutti si sono fatti una grande risata, io pure ci ho provato…
Alla fine era la prima volta che mi capitava, la risata e non solo…..
Così sono venuto al mondo io, fra la tecnologia del tipo, l’amore di mia madre e l’aiuto di tutta la gente che non conoscevo w che non conosco del reparto della maternità dell’ospedale…..
Ci tengo a precisarlo non è la mia storia, non è una storia vera ma potrebbe tranquillamente esserlo…
È scritta per dire grazie, a mio modo, a tutte quelle persone che lavorano al reparto maternità e a tutte quelle persone che aiutano a far nascere delle nuove vite.
Grazie mille davvero di cuorew a voi tutte/i, che spesso lavorate nell’ombra e non ricevete nemmeno un semplice grazie!
Quando il mio turno?
Era più forte di lui.
Erminio, prima di andare a sedersi nella “sua” panchina del centro doveva passare di là per leggere le epigrafi e volta per volta, con le sue mani conserte dietro la schiena, in silenzio amareggiarsi per la dipartita di un giovine, oppure per commentare con le persone presenti della sua età o poco più, quanto fossero buone e brave le persone di cui leggeva il nome o confrontarsi quale fosse la causa della dipartita; se un brutto male o un colpo al cuore.
Tutte le volte finiva con il commentare “io spero che quando tocca a me sia per uno sciupun al cuore. Così non rischio di rompere le balle a nessuno!”
Poi con le mani nelle saccocce se ne andava prima a prendersi un gelato, da gustarsi sulla sua panchina al Sole, e infine al ritorno a casa dal panettiere per prendere un bocconcino perché il pane oggi costa troppo e buttarlo e peccato.
Per molto tempo la sua panchina vide la compagnia di un marmocchio di nome Antonio.
Dapprima era di troppo, lo guardava in cagnesco e gli dava anche un gran fastidio….
Poi, con il passare dei giorni, si ammorbidì e accetto la sua presenza. Inizio a raccontargli dei suoi episodi di vita, quella vita ancora in bianco e nero, senza la televisione e fra le macerie dell’immediato dopo guerra…
Arrivo il giorno in cui ogni mattina facevano il percorso insieme! Commentavano le epigrafi, la panchina con il doppio gelato, il panino e le pagnottelle per la famiglia di Antonio…. È così per alcuni anni….
Un giorno Antonio arrivo leggermente in ritardo all’appuntamento alle epigrafi e restò li ad aspettare Erminio a lungo ma senza vederlo….
Allora corse alla panchina… Ma anche lì niente da fare….infine chiese alla panettiera che aveva tenuto da parte come sempre il solito panino…
Niente! Di Erminio nessuna notizia.
Antonio era seriamente preoccupato per questa strana assenza…non era naturale…non era mai mancato…
Il giorno dopo Antonio riprese a fare il suo giro…
La palina delle epigrafi e poi…aspetta un attimo?
Legge in basso basso un foglio sgualcito dal temporale della notte:”È tristemente mancato al l’affetto dei suoi cari Erminio xxxx…..”
Le lacrime si Antonio si mischiano alla pioggia battente e nel mentre si abbassa e strappa con delicatezza un pezzettino di quel foglio…
Nel farlo si chiede quando anche lui comparirà li sopra….
Oggi Antonio ha 50 anni ma nel suo portafoglio conserva ancora il ricordo del suo amico Antonio….
Buona vita gente……
Pensiero.
Non c’è che dire o fare; sovente ci si ferma a pensare
Son tanti piccoli esseri viventi; conosciuti e assai frequenti
Ci animano e amano, a volte dandoci una mano
Son ricordi sbiaditi, sogni scarniti
Alcuni in anfranti distanti, e in cassetti vaganti
Le chiaman riflessioni,ce nè per tutti
Bravi e buoni, strani e mattacchioni
Non c’è che dire, di termini ve nè a non finire
Eppure senza disquisire, ciò che può apparire
Spesso è ciò che non può avvenire.
Rimane dunque l’amaro di chi poco dopo vede chiaro
Ma c’è pure chi con ambizione cerca con attenzione
Di materializzare tutto ciò che può fare
E la soddisfazione ricompare come per incanto
Lasciando distante il male e il pianto
Ma stacci attento; il pensiero è come il vento
Non c’è che dire o fare perchè prima o poi torna a far pensare…
Ciao! Io ero Pietro
…è tardi e qui, in questa stanza in cui sono, mi sento solo. Dopo tutto il via vai di oggi sono un pò stanco…
E’ stata una giornata pesante oggi..
E’ iniziata prestissimo e onestamente non sono in piena forma… perdonatemi…
Io ero Pietro, quello che quando ti vedeva ti mandava i bacini con la mano con dei sorrisi grandi grandi che risaltavano i miei bei occhi chiari…
Io ero Pietro, quello che amava giocare con la terra, la sabbia nel giardinetto si casa e che appena vedeva una persona nuova si nascondeva dietro le gambe di mamma e papà….
Io ero Pietro, quel bimbetto di appena un anno e otto mesi, che appena incontravo il cane bianco e nero che festoso mi veniva incontro subito avevo un po’ di paura ma poi volevo tanto giocarci insieme perché era divertente….
Io ero Pietro, un bimbo vivace, con tanta tanta voglia di vivere e con mille progetti da realizzare, con tante cose ancora da imparare, provare, sperimentare, conoscere…
….appunto….io ero Pietro perché ora non lo sono più sebbene per chi mi ha desiderato follemente, per chi mi ha amato, portato in grembo, cresciuto, e tenuto in braccio anche nei miei ultimi minuti terreni, resterò per sempre indelebile nel loro cuore e non ci saranno parole in grado di consolare il loro immenso dolore nel non avermi più con loro…
Io ero Pietro, e lo sono ancora anche se delicatamente adagiato in questo freddo lettino, con i miei occhietti chiusi come se riposassi e il viso segnato da quanto accaduto la scorsa notte…..
Io ero Pietro, quel bimbo a cui dei ladri senza cuore hanno portato via, proprio la notte della vigilia di Natale, un vecchio pc in cui i miei genitori conservavano gelosamente le mie primissime foto…
Io, per voi tutti/tutte, ero Pietro, quel bimbo innocente che, voi che restate, saluterete domani pomeriggio se vorrete…
Io ero Pietro ed ora sono un Angelo che viene accompagnato dai suoi simili verso la mia nuova destinazione e che, pur non capendo cosa è successo, vede il volto di un giovane sconosciuto percorrere il suo tragitto verso la sua destinazione…. Non riesco a capire chi sia ma immagino che anche lui come me abbia subito un brutto destino e tutto il resto non importa….
Io ero e resterò per sempre Pietro, specie per voi che restate e che piangete per me.
Chiedo a voi che restate di dare un forte abbraccio ai miei genitori, a rassicurarli che per loro ci sarò sempre in ogni istante anche se patiranno con la morte nel cuore la mia assenza…
Per favore, restate vicino ai miei cari e cercate di voler loro bene perché ne hanno tanto bisogno e non solo ora ma anche anzi sopratutto più avanti….
Cercate di restare loro vicino come se ci fossi ancora io e fate in modo che il loro profondo dolore possa in qualche modo aiutarli a trovare la Pace perché nulla e niente sarà in grado di riportarmi indietro con loro…perché io ero il loro Pietro e per tutti continuerò a esserlo anche se da ieri, di questo strano e pazzo mondo non faccio più fisicamente parte a causa di un destino beffardo….
Io ero Pietro e resterò tale nei vostri cuori e nei vostri ricordi e da dove sono, sappiatelo, vi guardo, vi osservo, mi nascondo timidamente dietro a una nuvola ma poi con gli occhi azzurri come il cielo esco e vi mando con la manina i miei bacini e i miei sorrisi…
Io ero Pietro e per sempre sarò il vostro Pietro…